Tribunale di Brindisi – Sezione fall. – Sentenza del giorno 21 giugno 2005.
Tribunale di Brindisi – Sezione fall. – Relatore Roberto Michele Palmieri,
Presidente Vincenzo Fedele – Sentenza del giorno 21 giugno 2005.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Brindisi – Sezione Fallimentare – riunito in Camera di
Consiglio con l’intervento dei Magistrati:
1) dr. Vincenzo Fedele
Presidente
2) dr. Francesco Giliberti
Giudice
3) dr. Roberto Michele Palmieri Giudice –
rel.
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile, in prima istanza, iscritta al n. 1926 del R.G. 2004,
TRA
D. S.,
rappresentato e difeso dall’avv.***;
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– attore –
CONTRO
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A,
successore di Banca 121 s.p.a, già Banca del Salento s.p.a, in persona
del legale rappresentante p.t, rappresentata e difesa dagli avv.ti ***;
– convenuta –
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, D. S. ha convenuto in
giudizio la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a, esponendo che: a
seguito di numerosi colloqui sollecitati dal direttore di filiale dell’ex
Banca 121 s.p.a, nel corso dell’anno 2001 egli aveva concluso con la
predetta banca un piano finanziario denominato “4 You”; tale prodotto
gli era stato presentato quale strumento di previdenza integrativa
idoneo a consentirgli guadagni su base annua superiori a quelli dei titoli
di Stato; al momento della stipula del contratto egli aveva sottoscritto
tutta una serie di documenti non ancora compilati e da lui non visionati,
stante il rapporto fiduciario intercorrente con il suddetto diretto di filiale,
e previa assicurazione di quest’ultimo che di lì a breve gli sarebbe
pervenuta copia di tutta la documentazione da lui sottoscritta; egli
aveva stipulato il contratto sulla base della duplice assicurazione del
direttore di filiale sia che trattavasi di prodotto previdenziale, sia che egli
avrebbe potuto in qualsiasi momento sciogliersi dal contratto, ottenendo
la restituzione delle somme già corrisposte, maggiorate degli interessi;
rassicurato da tale prospettazione dell’investimento, egli si era
impegnato a versare la somma di ex lire 300.000 mensili; nel corso del
2003 aveva appreso dai mass media che il prodotto da lui acquistato
consisteva non già in un piano previdenziale, sebbene in un
finanziamento collegato all’acquisto di titoli di pertinenza della ex Banca
121 s.p.a; tale contratto doveva reputarsi nullo, o comunque
annullabile, per le ragioni esposte in atti. Ha chiesto pertanto dichiararsi
la nullità o annullamento del contratto in esame, con contestuale
condanna della banca convenuta sia alla restituzione delle somme da lui
versate, maggiorate della rivalutazione monetaria e degli interessi legali,
sia al risarcimento dei maggiori danni da lui subiti. Il tutto con vittoria
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delle spese di lite, da distrarsi in favore del suo procuratore
anticipatario.
Costituitasi in giudizio, la banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ha
chiesto il rigetto della domanda, con vittoria delle spese di lite.
A seguito di istanza ex art. 12 d. lgs. n. 5/03, il giudice relatore ha
fissato udienza collegiale di discussione della causa per il 17.5.2005. A
tale udienza le parti hanno illustrato le rispettive conclusioni e discusso
oralmente la causa. Di seguito, previa conferma del decreto del g.r, il
Tribunale – ai sensi dell’art. 15 5° co. d. lgs. n. 5/03 – ha riservato il
successivo deposito della sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda principale dell’attore è fondata, per quanto di ragione, e
deve pertanto essere accolta, nei limiti di cui appresso.
Con il primo motivo di censura, deduce l’attore la nullità del contratto in
esame per contrarietà a norme imperative, stante la mancata
osservanza, da parte della banca proponente l’investimento, delle
previsioni di cui agli artt. 21 e ss. d. lgs. n. 58/98.
La censura è fondata.
Il contratto oggetto del presente giudizio, denominato “4 You”,
costituisce la risultante di una serie di operazioni economiche tra di loro
funzionalmente collegate. Precisamente, il negozio si articola nella
concessione, da parte della banca proponente l’investimento, di un
finanziamento destinato esclusivamente all’acquisto di particolari
strumenti finanziari, e segnatamente di titoli “Republic of Italy”, nonché
di quote del fondo comune di investimento “Spazio Euro. NM”. Quale
contropartita della concessione del finanziamento, il risparmiatore – per
tutta la durata del rapporto negoziale – è tenuto al pagamento di una
rata costante che comprende un tasso di interesse del 6,8% annuo.
Tale essendo il contenuto essenziale del contratto, occorre ora
individuarne la natura giuridica, al fine dell’individuazione della disciplina
applicabile.
Sul punto, reputa il Collegio che si esula senz’altro, nel caso in esame,
sia dalla figura del mutuo semplice, sia da quella del c.d. mutuo di
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scopo. Ciò in quanto caratteristica precipua del mutuo – almeno nella
sua connotazione c.d. reale – è rappresentata dalla messa a disposizione
di una somma di danaro in capo al mutuatario, il quale ne acquista la
proprietà, con l’obbligo di restituirla alla scadenza, secondo le modalità
indicate nel contratto di mutuo. Particolare configurazione del contratto
di mutuo è poi rappresentata dal c.d. mutuo di scopo, ricorrente tutte le
volte in cui lo scopo del finanziamento assurge a causa del contratto, nel
senso che il finanziamento è concesso a condizione (sine qua non) che la
somma mutuata venga utilizzata dal mutuatario per una particolare
finalità convenzionalmente pattuita. Con la conseguenza che
l’impossibilità originaria dello scopo determina nullità del contratto, nel
mentre la sua mancata realizzazione dà luogo ai rimedi risolutori (art.
1453 e ss. c.c.) normativamente previsti.
Nulla di tutto ciò accade invece nel contratto in esame. Ciò in quanto la
somma asseritamente “mutuata” non è in alcun modo messa a
disposizione del cliente, neppure con la limitazione rappresentata dalla
sussistenza di un particolare scopo. Piuttosto, il finanziamento resta sul
piano puramente nominale, in quanto, per espressa previsione negoziale
(art. 1), esso “sarà esclusivamente utilizzato per
l’acquisto/sottoscrizione degli strumenti finanziari indicati ai seguenti
punti nn. 2 e 3”.
Alla luce di tali caratteristiche del contratto in esame, reputa il Collegio
che esso esula senz’altro dalla fattispecie del mutuo, ponendosi piuttosto
quale contratto atipico, la cui causa è da ricercarsi nel particolare
collegamento negoziale sussistente tra le operazioni di riferimento. In
particolare, reputa il decidente che la causa del contratto in esame sia
da ricercarsi non solo – e non tanto – nel finanziamento di somme di
danaro da parte della banca proponente l’investimento quanto,
piuttosto, anche nella vendita di particolari prodotti finanziari da parte
della banca medesima. Vendita attuata non già mediante acquisto
diretto ed immediato di tali prodotti da parte del cliente, sibbene
attraverso la concessione di un finanziamento da destinarsi al relativo
acquisto.
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Chiarita la natura giuridica del contratto in esame (contratto atipico con
finalità, collegata, sia di finanziamento di somme, sia di acquisto di
prodotti finanziari), occorre ora valutare se la banca proponente
l’investimento abbia assolto agli obblighi normativamente previsti.
Sul punto, la particolare causale del contratto in esame – caratterizzata,
si ribadisce, anche e soprattutto dalla vendita di strumenti finanziari –
impone l’applicazione delle previsioni di cui agli artt. 21 e ss. d. lgs n.
58/98 (Testo Unico della Finanza – TUF).
Orbene, tali previsioni impongono all’istituto di credito uno specifico
obbligo di informazione circa le caratteristiche fondamentali del
contratto. Precisamente, grava sul proponente l’investimento uno
specifico obbligo (art. 21 lett. a TUF) di diligenza, correttezza e
trasparenza, nell’interesse del cliente, obbligo che impone in particolare
all’operatore finanziario un’azione tesa alla garanzia della massima
informazione (art. 21 lett. b TUF) nei confronti del risparmiatore.
Ed è appena il caso di precisare che trattasi di obblighi a contenuto più
stringente di quelli, generici, di correttezza ed informazione (artt. 1337-
1375 c.c.), gravanti su qualunque parte del rapporto negoziale. La qual
cosa deriva anzitutto dalla particolare natura del contratto in esame, il
quali presenta un elevato grado di rischio, ed espone pertanto il
risparmiatore ad una perdita potenzialmente illimitata della somma da
lui mensilmente investito. In secondo luogo, non va trascurato che
l’aderente all’investimento è spesso un soggetto privo delle cognizioni
tecniche necessarie per operare in un settore altamente specializzato,
quale quello del mercato dei valori mobiliari. Per tal ragione, deve
ritenersi condicio sine qua non della validità del contratto la circostanza
che, in sede di stipula dell’accordo negoziale, il risparmiatore abbia
avuto adeguata informazione circa il tipo e le caratteristiche essenziali
del contratto stesso. La qual cosa è tanto più vera se si considera che –
a differenza di quanto accade in un normale schema negoziale, ove di
norma non compaiono terzi garanti che vigilano ab origine sulla
regolarità dell’accordo – l’attività del proponente l’investimento non è
libera, ma è a sua volta soggetta a vigilanza da parte di soggetti terzi
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rispetto al singolo contratto, e segnatamente della CONSOB e della
Banca d’Italia (artt. 5 e ss. TUF). Soggetti, questi ultimi, dotati di
penetranti poteri nei confronti del proponente l’investimento, poteri
articolantisi non solo in richieste di informazioni (art. 8 TUF), ma anche,
più in generale, in attività di vigilanza ispettiva e regolamentare (artt. 6-
7 TUF), nonché di convocazione degli organi dirigenti. Il tutto nel
superiore interesse perseguito dal legislatore del 1998, che è quello – in
armonia con l’esigenza costituzionale (art. 47 Cost. ) di tutela del
risparmio – di assicurare massima trasparenza e correttezza dei
comportamenti dei soggetti abilitati (art. 5 TUF), oltre che una sana e
prudente gestione dei vari servizi finanziari da parte di questi ultimi.
In quest’ottica, non stupisce che, in deroga al principio della libertà delle
forme che regola l’autonomia privata, il TUF abbia espressamente
previsto (art. 23) la forma scritta ad substantiam dei contratti relativi
alla prestazione dei servizi di investimento. Ciò in quanto,
evidentemente, la sola forma scritta è stata ritenuta idonea a garantire
l’adeguata informazione del risparmiatore, la sua conoscenza, cioè, del
complesso dei diritti e doveri scaturenti dall’accordo negoziale.
Per tali ragioni, ritiene il Collegio che le norme regolanti i servizi di
investimento di prodotti finanziari – in quanto volte alla tutela sia del
singolo investitore, sia, più in generale, dell’intero mercato dei valori
mobiliari – abbiano natura e portata di norme imperative. La qual cosa
implica, da un lato, la non derogabilità di dette norme ad opera delle
parti, e sotto altro profilo, la nullità per illiceità della causa sia dei
contratti che, pur tuttavia, siano stati stipulati (c.d. nullità virtuali, arg.
ex artt. 1418 – 1343 c.c.), sia delle transazioni (art. 1972 c.c.)
eventualmente compiute dalle parti.
Venendo ora al caso in esame, e riprendendo quanto prima esposto,
reputa il Collegio che l’istituto di credito convenuto ha violato i primari
doveri di informazione stabiliti dal TUF. Invero, sussiste in capo alla
banca una palese violazione dei doveri di informazione e correttezza
sanciti dall’art. 21 TUF, posto che detta banca ha taciuto all’attore
circostanze decisive nell’economia del contratto. Precisamente,
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nonostante il contratto faccia riferimento, tra gli allegati, ai prospetti
informativi sia del “Republic of Italy Programme”, sia dell’offerta al
pubblico di quote dei fondi comuni di investimento mobiliare gestiti da
“Spazio Finanza s.p.a”, nondimeno tali allegati non risultano in alcun
modo depositati nel presente giudizio.
Pertanto, nonostante il contratto preveda, quale sua componente
essenziale, l’acquisto dei predetti valori mobiliari, sono state totalmente
sottaciute al risparmiatore – o comunque non vi è prova di tale specifica
informazione, stante l’assenza di tali allegati – le informazioni principali
concernenti gli strumenti finanziari oggetto di acquisto. Precisamente,
sono state sottaciute all’attore le informazioni fondamentali concernenti
tali sedicenti titoli emessi dalla “Republic of Italy”, e segnatamente
quelle relative a: 1) la natura giuridica della società emittente le azioni
in esame, il suo volume di affari, il suo capitale sociale, se esso fosse o
meno interamente versato, ecc; 2) gli eventuali rapporti di collegamento
e/o partecipazione societaria; 3) la redditività media dei titoli negoziati,
mediante riferimento comparativo all’utile ricavato dalle precedenti
collocazioni di detto titolo sul mercato. Informazioni che, sole, avrebbero
consentito al risparmiatore una piena consapevolezza degli strumenti
finanziari che si accingeva ad acquistare. Informazioni che, nondimeno,
sono state, nella specie, del tutto omesse.
Informazioni analoghe la banca proponente l’investimento avrebbe poi
dovuto fornire in relazione al sedicente fondo comune di investimento
denominato “Spazio Euro.NM”, le cui quote il risparmiatore, per
contratto, andava ad acquistare. E non diversamente da quanto sopra,
anche di tale Fondo si sconosce la benché minima informazione.
Ciò fa si che, al momento della stipula del contratto, l’attore fosse del
tutto all’oscuro circa i valori mobiliari negoziati con la banca convenuta.
In sostanza, egli ha acquistato “al buio” strumenti finanziari di cui, per
legge (artt. 21 e ss. TUF), egli aveva il diritto di conoscerne le principali
caratteristiche. La qual cosa costituisce l’antitesi del principio di
trasparente e corretta informazione delle vicende concernenti l’acquisto
di valori mobiliari, cui – in attuazione dell’art. 47 Cost. – si ispira il TUF.
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Ne consegue, in accoglimento della specifica censura di parte attrice, la
dichiarazione di nullità del contratto in esame, stante la sua contrarietà
alle norme imperative (art. 21 TUF, in relazione agli artt. 1418-1343
c.c.) di legge.
Per quanto tali considerazioni appaiano di per sé sufficienti
all’accoglimento della domanda dell’attore, ragioni di completezza
inducono il Collegio – in relazione all’ulteriore censura sollevata da parte
attrice – a dichiarare la nullità anche di singole clausole del contratto in
esame, per contrarietà alle prescrizioni di cui agli artt. 1469 bis e ss. c.c.
Sul punto, premette il Collegio che, in astratto, la normativa sulle c.d.
clausole vessatorie trova senz’altro applicazione alla fattispecie in
esame, stante la qualità di consumatore rivestita dall’attore, qualità
certificata dall’apposita “spunta” contenuta nella parte iniziale
dell’accordo.
Tanto premesso, rileva il decidente che un primo profilo di squilibrio che
il contratto prevede a vantaggio della banca proponente l’investimento
ed in danno dell’attore è rappresentato dalle modalità di esercizio del
diritto di recesso spettante a quest’ultimo. Invero, tale facoltà prevede,
quale contropartita (Sez. II, n. 8), l’obbligo di quest’ultimo di
corrispondere alla banca, “oltre agli interessi e gli altri oneri maturati
fino all’esercizio di detta facoltà, un importo determinato dalla somma
delle rate ancora a scadere, comprensive di capitale ed interessi,
attualizzata al tasso IRS (Interest Rate Swap) corrispondente al periodo
intercorrente tra la data di esercizio della facoltà di anticipata estinzione
e la data di naturale scadenza del finanziamento”.
Trattasi, a tutta evidenza, di una clausola limitativa del diritto di
recesso, non bilanciata da analoga facoltà concessa al consumatore per
l’ipotesi di recesso della banca. Per tale ragione, detta clausola deve
reputarsi nulla, ai sensi dell’art. 1469 bis 3° co. n. 5 c.c.
Altro profilo di squilibrio del sinallagma contrattuale è poi rappresentato
dal fatto che la banca fa acquistare dall’attore prodotti finanziari
riconducibili alla banca stessa, lucrando un tasso di interesse certo e
definito (nella specie, il 6,8% annuo). In tal modo, la banca si
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autofinanzia, riuscendo non soltanto a collocare sul mercato titoli di
altrimenti difficile negoziazione – essendo gli stessi quotati non in Borsa,
ma, a tutto voler concedere, in mercati non regolamentati – ma a
collocare titoli propri (o comunque ad essa riconducibili), lucrando in tal
modo su un’operazione rivolta a suo prevalente, se non esclusivo,
favore.
A fronte di un guadagno certo della banca (il tasso di interesse del 6,8%
annuo convenzionalmente pattuito), all’attore sono invece attribuiti
margini di redditività del tutto aleatori. Invero, lo stesso contratto (Sez.
1, punto 6) dà atto del fatto che “le operazioni eventualmente eseguite
su strumenti finanziari non negoziati in mercati regolamentati possono
comportare gravi difficoltà di liquidare gli strumenti finanziari acquistati
e comunque di valutarne il valore effettivo”, per aggiungere poi che tali
operazioni “sono caratterizzate da una rischiosità molto elevata, con
possibilità di perdite anche eccedenti l’esborso originario, il cui
preventivo apprezzamento è ostacolato dalla loro complessità”. In
maniera ancora più significativa, con riferimento all’acquisto di quote del
suddetto fondo comune di investimento, è lo stesso contratto a
riconoscere che “non v’è garanzia del rendimento futuro delle stesse”.
Riepilogando, con l’operazione in esame la banca acquista un doppio
vantaggio, rappresentato sia dal fatto che la stessa si autofinanzia (in
quanto vengono acquistati prodotti ad essa stessa riconducibili, e di
altrimenti difficile collocazione sul mercato), sia dal fatto che essa lucra
anche un tasso di interesse da un’operazione, già di per sé,
economicamente vantaggiosa.
Di contro, l’attore finanzia la banca, e lo fa a sue spese, in quanto
acquista prodotti della banca stessa, pagando un tasso fisso certo (il
6,8% annuo), senza però avere alcuna garanzia circa la redditività
futura del proprio investimento, ed anzi dovendo mettere in conto “…una
rischiosità molto elevata, con possibilità di perdite anche eccedenti
l’esborso originario”.
Per tali caratteristiche, il contratto atipico in esame realizza una figura
sinora ignota al panorama giuridico italiano, quella, cioè, del “contratto
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aleatorio unilaterale”. Invero, l’alea – quale elemento attinente alla
causa del contratto – è tutta concentrata nella sfera giuridica del
risparmiatore, che paga un saggio di interesse fisso senza una
aspettativa (seppur in termini soltanto aleatori) di corrispondente
vantaggio, nel mentre la banca si giova di tale saggio (nonché del
primario beneficio dell’autofinanziamento) senza, di contro, obbligarsi –
neppure in via ipotetica, secondo i dettami dell’alea – ad alcuna
corrispondente prestazione nei confronti della controparte.
È evidente, allora, lo squilibrio contrattuale derivante da tale genere di
operazione. Dal che consegue anzitutto la nullità della clausola
contrattuale (Sez. I, n. 6, quarta ipotesi) prevedente l’accettazione, da
parte del consumatore, del rischio “di perdite anche eccedenti l’esborso
originario”, per contrarietà alla previsione di cui all’art. 1469 bis 1° co.
c.c.
In secondo luogo, il prevedere il contratto in esame un’alea di tipo
soltanto unilaterale non consente, ad avviso del Collegio, di ritenerlo
meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322 c.c.). Ciò
in quanto l’ordinamento non può ammettere la validità di contratti atipici
che, lungi dal prevedere semplici modalità di differenziazione dei diversi
profili di rischio, trasferisca piuttosto in capo ad una sola parte tutta
l’alea derivante dal contratto, attribuendo invece alla controparte profili
certi quanto alla redditività futura del proprio investimento. L’insanabile
squilibrio iniziale tra le prestazioni oggetto del sinallagma contrattuale
rende allora l’intero contratto in esame – e non soltanto le singole
clausole sopra indicate – radicalmente nullo, non soltanto per contrasto
con gli art. 21 e ss. TUF, ma anche per sua contrarietà alla previsione di
cui all’art. 1322 c.c, non essendo detto negozio volto alla realizzazione di
interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Naturalmente, la nullità del contratto determina – in applicazione delle
norme sull’indebito oggettivo (art. 2033 e ss. c.c.) ed in accoglimento
della domanda principale dell’attore – la condanna della banca alla
restituzione, in favore del S., delle somme da quest’ultimo percepite in
esecuzione del contratto nullo.
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Quanto alla decorrenza degli interessi legali sulla somma da restituire,
rileva il Collegio che non sono emersi nel presente giudizio elementi tali
da escludere la buona fede iniziale del convenuto (buona fede che, come
è noto, si presume – art. 1147 c.c.). Per tale ragione, in ossequio al
disposto dell’art. 2033 c.c, gli interessi legali sulla somma da restituire
devono essere computati dal 30.7.2004 – data di notifica dell’atto di
citazione e conseguente dies a quo di decorrenza della mora – al
soddisfo.
Quanto alla richiesta di rivalutazione monetaria della somma, occorre
ricordare che, trattandosi di obbligazione di valuta, il creditore aveva
l’onere di dimostrare il maggior danno subito per effetto del ritardato
adempimento (art. 1224, 2° co, c.c.), mediante riferimento, ad es, alla
redditività media del capitale da lui utilizzato.
A tali oneri l’attore non ha assolto, sicché la sua domanda relativa alla
rivalutazione monetaria deve essere rigettata.
Va del pari rigettata l’ulteriore domanda dell’attore di condanna della
controparte al risarcimento dei danni precontrattuali ed
extracontrattuali, stante l’assenza di prova, da parte dell’attore – a tanto
onerato, in virtù dei principi generali (art. 2697 c.c.) – di un pregiudizio
economico ulteriore rispetto a quello espressamente risarcito.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in
dispositivo, con distrazione in favore del procuratore anticipatario
dell’attore.
P.Q.M.
Il Tribunale di Brindisi – Sezione Fallimentare – pronunciando sulla
domanda proposta da D. S. con atto di citazione ritualmente notificato a
Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (quale successore a titolo universale di
Banca del Salento s.p.a.), nel contraddittorio delle parti costituite così
provvede:
1) 1) accoglie la domanda principale dell’attore, per quanto di
ragione, e per l’effetto condanna l’istituto di credito convenuto alla
restituzione, in favore dell’attore, delle somme da quest’ultimo
12
corrisposte in esecuzione del contratto in esame, oltre interessi legali su
tali somme, dal 30.7.2004 al soddisfo;
2) 2) rigetta l’ulteriore domanda risarcitoria dell’attore;
3) 3) condanna il convenuto al rimborso, in favore del
procuratore anticipatario dell’attore, avv. G. Romano, delle spese di lite
da questi sostenute, che si liquidano in complessivi € 3.330, di cui € 330
per spese, € 1.000 per diritti ed € 2.000 per onorari, oltre spese
generali, CAP e IVA come per legge.
Brindisi, 21.6.2005
Il Giudice est.
(Roberto Michele Palmieri)
Il Presidente
(dr. Vincenzo Fedele)