Tribunale di Viterbo: responsabile il medico che non informa il paziente dei rischi dell’operazione
“Nel contratto di prestazione d’opera intellettuale tra il chirurgo ed il paziente, il professionista, anche quando l’oggetto della sua prestazione sia solo di mezzi, e non di risultato, ha il dovere di informare il paziente sulla natura dell’intervento, sulla portata ed estensione dei suoi risultati e sulle possibilità e probabilità dei risultati conseguibili, sia perché violerebbe, in mancanza, il dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.), sia perché tale informazione è condizione indispensabile per la validità del consenso, che deve essere consapevole, al trattamento terapeutico e chirurgico, senza del quale l’intervento sarebbe impedito al chirurgo tanto dall’art. 32, comma 2° della Costituzione (a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), quanto dall’art. 13 Cost. (che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica), nonché dall’art. 33 L. 23 dicembre 1978 n. 833 (che esclude la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestare e non ricorrono presupposti dello stato di necessità, ex art. 54 c.p.): in ogni caso, perché l’inadempimento dell’obbligo di informazione dia luogo a risarcimento occorre che sussista un rapporto di causalità tra l’intervento chirurgico e l’aggravamento delle condizioni del paziente o insorgenza di nuove patologie”. Richiamando, così, la sentenza della Cassazione n. 14638 del 2004, il Tribunale di Viterbo (sentenza del 27.11.2006) interviene su un argomento di grande attualità, quello dell’obbligo di informazione che incombe sul sanitario nei confronti del paziente. La vicenda è quella di una donna che, rivoltasi ad uno specialista per un intervento correttivo al piede destro e ricoverata presso il locale nosocomio, lamentava di essere stata sottoposta ad intervento chirurgico durante il quale le veniva tagliato un pezzo di osso del secondo dito, senza che tale modalità le fosse stata ipotizzata in precedenza, e di aver dovuto subire l’insorgere di postumi, quali continui dolori con perdita completa di motilità, impossibilità di calzare scarpe con tacco superiori ai due centimetri, impossibilità di deambulare sulle punte dei piedi e difficoltà ad affrontare anche brevi percorsi a piedi. Avendo accertato durante il giudizio che il modulo di consenso informato sottoscritto dalla signora nella parte relativa alla voce “intervento proposto” non riportava alcuna indicazione concernente la tipologia dell’intervento, il Tribunale ha ritenuto inadempienti sia il sanitario che doveva eseguire l’intervento sia la struttura dove tale intervento è avvenuto, “il primo perché tenuto a far sì che la sua paziente risultasse anche informata della tecnica operatoria da eseguire (con i suoi possibili esiti finali anche in termini concretamente applicativi), la seconda in quanto soggetto che procedeva alla effettiva richiesta di consenso alla paziente ospedalizzata. Non vi è dubbio, infatti, che rientri nel diritto del paziente – ad essere informato sul proprio stato di salute e su come il sanitario intenda risolverlo (o tentare di risolverlo) – anche la facoltà di poter decidere se accettare o meno di sottoporsi a quel dato intervento medico; il tutto rientra, infatti, nel diritto alla salute costituzionalmente tutelato e caratterizzato da due punti principali: a) il passaggio da una dimensione puramente passiva del diritto individuale – intesa come diritto alla propria protezione psichica e fisico–personale – ad una dimensione attiva come diritto e libertà di essere, di disporre di sé e di autodeterminarsi, giuridicamente tutelato a prescindere dalla conseguenza sul piano della cura di una patologia in atto; b) la progressiva acquisizione di rilevanza dell’aspetto psichico o psicologico, ovverosia non strettamente organico, della salute, che nel corso degli anni più recenti ha portato ad attribuire sempre maggiore importanza alla conoscenza preventiva del paziente su come essere curato ed evitare di essere assoggettato ad interventi sanitari a totale sua insaputa”.