Tutela del consumatore, bollette telefoniche, addebito spese, addebito IVA Tribunale Napoli, sez. distaccata civile di Pozzuoli, sentenza 10.03.2010
L’assenza dell’obbligo di documentare le spese postali da parte del
gestore telefonico determina una violazione dell’art. 1469 bis, n. 18,
posto che ciò di fatto si risolve in una inversione dell’onere della
prova a carico del consumatore: in caso di contestazione del quantum
sarà infatti il consumatore a dover provare che il fornitore del
servizio ha pagato meno di quanto poi addebitato in fattura.
L’addebito,
oltre al costo della spedizione, anche dell’IVA calcolata su questo
costo integra in ogni caso un comportamento che segnala una posizione
di squilibrio in danno del consumatore e la violazione dell’art. 1469
bis, n. 18: esso rappresenta una ipotesi di prezzo occulto in quanto al
consumatore – proprio perché il costo è previsto in clausola diversa –
si rappresenta un prezzo comprensivo dell’abbonamento diverso da quanto
poi effettivamente dovrà pagare. Infatti, in fattura il cliente si
ritrova a non dover pagare solo il prezzo pattuito ma anche i c.d.
costi di spedizione: non a caso l’attuale codice del consumo agli artt.
13 e ss. dedica una disciplina tutta finalizzata ad assicurare che il
consumatore fin da subito sappia con chiarezza quanto dovrà sborsare
per la prestazione del servizio, interessando a quest’ultimo prima di
tutto sapere qual sarà il prezzo finale comprensivo di tutte le voci e,
poi, in ipotesi la giustificazione di tale prezzo; è chiaro che – anche
in una logica concorrenziale – a parità di condizioni, il cliente tende
a scegliere il servizio meno costoso nel totale, disinteressandosi (al
di là della qualità del servizio) delle ragioni per cui una impresa
propone un prezzo rispetto ad un’altra.
Tribunale di Napoli
Sezione distaccata civile di Pozzuoli
Sentenza 10 marzo 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Tribunale di Napoli, sez. civ. dist. di Pozzuoli, in persona del
Giudice unico dott. Antonio Lepre, nel procedimento civile n. 1424/07
R.G.A.C.
avente ad oggetto: appello avverso sentenza del GDP di Pozzuoli
ha emesso la seguente
SENTENZA
TRA
TELECOM
ITALA s.p.a. in p.l.r.p.t., elettivamente domiciliata in Napoli, via
Kerbaker n. 55, presso lo studio degli avv.ti Alberico Testa e G.
Testa, che la rappresentano e difendono, in virtù di procura a margine
della comparsa di costituzione e risposta del primo grado di giudizio
APPELLANTE
E
G.
F., elettivamente domiciliato in Pozzuoli, via Solfatara, n. 46, presso
lo studio dell’avv. Gennaro De Luca, che lo rappresenta e difende, in
virtù di procura a margine dell’atto di citazione del primo grado di
giudizio
APPELATO
CONCLUSIONI: come da verbali ed atti di causa
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è infondato e va rigettato.
Il fatto processuale e le questioni su cui si è svolto il contraddittorio in primo grado.
In
primo grado l’appellato ha chiesto che la Telecom fosse condannata alla
restituzione, in suo favore, di € 0,31 illecitamente addebitate in
quanto in violazione dell’art. 21 dpr 633/72.
Telecom si è
costituita in giudizio in primo grado, affermando la natura di
contratto per adesione del testo negoziale sottoscritto dal cliente e
osservando che:
a) il d.p.r. n. 523/1984, art. 53 statuisce
che: “La società, ferma restando la vigente disciplina circa le
modalità ed i termini di pagamento, provvede alla riscossione dei
corrispettivi dei servizi fruiti dagli abbonati e di quant’altro dovuto
dagli stessi, anche per ciò che concerne i canoni di spettanza
dell’Amministrazione di cui all’art. 263 Codice P.T., mediante bollette
periodiche che provvede a spedire al domicilio degli abbonati,
addebitando le sole spese postali nella misura prevista per le fatture
commerciali aperte, salvo la facoltà per gli abbonati di provvedere,
senza addebito di spese, al ritiro delle bollette presso gli uffici
della società”;
b) il d.m. n. 197/1997, art. 30 statuisce che: “ogni spesa, imposta o tassa di abbonamento è a carico dell’abbonato”
c)
l’art. 14, punto 6 delle condizioni generali di contratto prevede che
Telecom Italia s.p.a. invii al cliente la bolletta telefonica, con
cadenza di norma bimestrale orientativamente con 15 giorni di anticipo
rispetto alla data di scadenza dei pagamenti, e che: le “spese postali
di spedizione della fattura sono addebitate al cliente”
Il
Giudice di Pace di Pozzuoli ha accolto la domanda, ritenendo la
clausola nulla ex art. 1469 bis e ss. cod. civ. per: a) violazione
dell’art. 21, ult. comma dpr 633/72, secondo cui “le spese di emissione
della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità non possono
formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo”; b) violazione
dell’art. 1469 bis n. 3 secondo cui “sono inefficaci le clausole che,
quantunque oggetto di trattativa abbiano oggetto o per effetto di
prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha
avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione
del contratto”.
E’, quindi, pacifico tra le parti che la causa
ha avuto fin da subito ad oggetto la questione circa la nullità o meno
della predetta condizione contrattuale. Con il presente gravame,
coerentemente, Telecom afferma la assoluta validità della clausola
contrattuale contestandone la vessatorietà. L’appellato si è costituito
chiedendo la conferma della pronunzia di primo grado, sul presupposto
della natura abusiva della previsione contrattuale
La decisione del gravame.
L’appello è infondato e va rigettato per le seguenti ragioni.
Sulle
questioni preliminari della improponibilità della domanda per difetto
di conciliazione e del difetto di giurisdizione: la domanda è
proponibile in quanto è stato esperito il tentativo di conciliazione;
sussiste la giurisdizione del giudice ordinario e non del giudice
amministrativo, atteso che nella presente pronunzia non si controverte
di diritti soggettivi connessi all’esercizio del potere amministrativo
(presupposto necessario perché si rientri nella giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo, così statuito da Corte Cost. N. 204/04 e
successive pronunzie): oggetto della presente pronunzia è la
restituzione ex art. 2033 c.c.; non sussiste neppure la giurisdizione
del giudice tributario, posto che per costante giurisprudenza in tema
di IVA le controversi tra il soggetto attivo e il soggetto passivo
della rivalsa non attengono al rapporto tributario, non essendo il
cessionario soggetto passivo di imposta, ed esulano, pertanto, dalle
attribuzioni giurisdizionali delle commissioni tributarie – come
delineate dall’art. 2, d.lgs. 31.12.1992, n. 546 anche in seguito della
sostituzione operata dall’art. 12 della legge 28.12.2001, n. 448 – per
rientrare in quelle del giudice ordinario, riguardando il rapporto tra
le parti dell’operazione imponibile. Peraltro, è poi assorbente
rilevare che non v’è dubbio che nel caso di specie si discute
esclusivamente dell’attribuzione tra società e cliente delle spese e
costi di spedizione delle fatture, che il pagamento di quel tributo
rende necessarie e non invece sull’obbligatorietà e misura di esso e
sulle somme a tale titolo accantonate dal sostituto d’imposta. A voler
diversamente ritenere, del resto, si arriverebbe alla paradossale
conclusione di attrarre nella giurisdizione tributaria tutte le
controversie tra privati aventi ad oggetto l’adempimento di un
contratto, in cui una delle prestazioni sia soggetto all’imposizione
dell’IVA e, dunque, costituisca la base imponibile sulla quale operare
detto prelievo (sul punto, cfr. Tribunale di Paola, Giudice unico dott.
Baldassarre).
Sulla questione nel merito, la pronunzia
della Cass. 13.2.2009, n. 3532, la necessità di valutare l’abusività
dell’art. 14, punto 6 delle Condizioni generali di contratto a
prescindere dall’art. 21 dpr 633/72.
La Suprema Corte –
pur negando operatività nella fattispecie in esame all’art. 21, ult.
comma – ha in ogni caso demandato al giudice del merito la questione
circa il controllo di liceità della clausola contrattuale ai sensi
dell’art. 1469 bis e ss. del codice civile (in particolare, la Corte si
sofferma sul fatto che la clausola contrattuale non ha trasfuso la
facoltà di cui all’art. 53 d.p.r. n. 523/1984): tale verifica è in
questa sede possibile e doveroso, atteso che sulla validità dell’art.
14, punto 6 vi è stato puntuale e specifico contraddittorio tra le
parti rappresentando l’oggetto della causa.
La sentenza
13.2.2009, n. 13 afferma che la fattispecie in esame non è regolata
dall’art. 21, comma 8 d.p.r. n. 633/1972, rientrando nell’ambito della
disponibilità negoziale delle parti.
Infatti, in relazione
all’art. 21, ultt. Comma la Suprema Corte ha sostenuto che “In tema di
servizi di telefonia, le spese di spedizione della fattura relativa ai
corrispettivi dovuti dagli abbonati per la fruizione dei servizi
telefonici (cosiddette “bollette telefoniche”) non debbono
necessariamente gravare sull’impresa che eroga il servizio, non potendo
un siffatto obbligo desumersi dall’art. 21, comma ottavo, del d.P.R. 26
agosto 1973, n. 633, introdotto dal d.P.R. 23 dicembre 1973, n. 687, in
quanto la spedizione non può ritenersi segmento dell’operazione di
emissione della fattura, nè ricondursi “ai conseguenti adempimenti e
formalità”, segnando, invece, il momento stesso in cui viene a
perfezionarsi la fatturazione. Tali spese trovano invece disciplina
nell’ambito del diritto civile e della volontà negoziale delle parti,
dovendosi pertanto correlare all’obbligazione di pagamento del servizio
telefonico, per cui, ove sia contrattualmente previsto (come nella
specie, in forza dell’art. 28 delle condizioni generali abbonamento),
che esse gravino sull’utente e siano anticipate da chi emette la
fattura, il relativo rimborso deve essere escluso dalla base imponibile
del corrispettivo per il servizio telefonico reso dal gestore, come si
evince dall’art. 15, primo comma, n. 3, del citato d.P.R. n. 633”
Nel
contempo, tuttavia, la Corte ricorda come “dopo l’entrata in vigore
della Legge Iva, è stato emanato il D.P.R. 29 marzo 1973, n. 186 – il
T.U. delle disposizioni in materia postale, di bancoposta e di
telecomunicazioni – che, all’art. 2 stabilisce che “quando la legge non
dispone diversamente, i provvedimenti in materia postale, di bancoposta
e di telecomunicazioni nella Repubblica rientrano nella competenza del
Ministero delle poste e delle Telecomunicazioni”. Il successivo art.
194 T.U. (condizioni, limiti, diritti ed obblighi del concessionario)
prevede che “le condizioni, amministrative e tecniche, i limiti, i
diritti, e gli obblighi del Concessionario, ove non previsti nel
presente decreto sono stabiliti nel regolamento e negli atti di
concessione”. In attuazione di tale disposizione del T.U. sono stati
emanati il D.P.R. 13 agosto 1984, n. 523, relativo all’approvazione ed
esecuzione delle convenzioni per la concessione dei servizi di
telecomunicazione ad uso pubblico delle società SIP, Italcable e
Telespazio e il D.M. 8 marzo 1997, n. 197, concernente il regolamento
di servizio e le condizioni di abbonamento al servizio telefonico.
L’art. 53 di detta convenzione – prosegue ancora la ricorrente –
dispone che “la società … provvede alla riscossione dei corrispettivi
dei servizi fruiti dagli abbonati e di quant’altro dovuto dagli stessi
… mediante bollette periodiche che provvede a spedire al domicilio
degli abbonati addebitando le sole spese postali … salvo la facoltà
degli abbonati di provvedere senza addebito di spese al ritiro delle
bollette presso gli uffici della società”. Osserva al riguardo la
Corte, che, escluso, in accoglimento del primo e terzo motivo, che la
questione oggetto della causa, trovi la sua soluzione nell’art. 21,
comma 8, della Legge Iva, non spetta alla Corte e sarà compito del
giudice di rinvio saggiare, in rapporto all’art. 53 della convenzione,
la efficacia della clausola contenuta nelle condizioni generali di
abbonamento, secondo la quale – come è notorio, ma è incontroverso – le
spese postali di spedizione della fattura sono addebitate al cliente. E
ciò in relazione al fatto che, formulando la clausola delle condizioni
generali di contratto in modo da collegare l’obbligo dell’utente di
pagare le spese di spedizione postale alla sola condizione di
riceverla, la Telecom mostra di non aver trasfuso nel suo contenuto la
salvezza di quella facoltà – che l’utente ha ed alla quale la Telecom
si è invece più volte richiamata nei suoi scritti difensivi – di
scegliere modalità alternative di ricezione ed in particolare quella
del ritiro presso gli uffici della stessa Telecom, cui si è ora venuta
ad aggiungere la trasmissione telematica”
Sula natura abusiva dell’art. 14, punto 6 delle condizioni generali di contratto.
La
predetta condizione contrattuale è abusiva ai sensi degli art. 1469 e
ss. c.c. (attualmente art. 33 e ss. d.lgs. n. 206/2005) per le seguenti
ragioni:
a) la clausola non contiene la facoltà di cui all’art.
53 D.P.R. 13 agosto 1984, n. 523: si è, quindi, posto un costo
ulteriore a carico del consumatore senza avvertirlo specificamente con
apposita trattativa e senza dargli la facoltà di ricezione della
consegna senza costi aggiuntivi, quale il ritiro presso gli uffici
della Telecom oppure la trasmissione telematica o in altri modi che lo
stesso consumatore potrebbe proporre: anzi, come si vedrà, non solo
sono stati posti costi di spedizione, ma il cliente deve, altresì,
pagare anche una maggiorazione a titolo di IVA senza alcuna ragione
plausibile e senza che Telecom giustifichi in alcun modo tale ulteriore
costo;
b) l’art. 14, punto 6 (come riportato dalle parti e non
contestato, sicché deve ritenersi pacifico in atti nella formulazione
riportata non essendo state prodotte da alcune delle parti le
condizioni generali di contratto), non prevede l’obbligo a carico del
professionista di provare e documentare le spese di spedizione, laddove
correttezza e trasparenza impongono di provare e documentare tali costi
ove addebitati al cliente: già tale carenza determina un netto
squilibrio contrattuale in favore dell’appellante;
c) in seguito
al fatto che non vi è l’obbligo di documentare le spese postali, si
determina una violazione dell’art. 1469 bis, n. 18, posto che ciò di
fatto si risolve in una inversione dell’onere della prova a carico del
consumatore: in caso di contestazione del quantum sarà il consumatore a
dover provare che Telecom ha pagato meno di quanto poi addebitato in
fattura;
d) l’assenza di trasparenza dell’operazione
contrattuale è evidenziata dalla stessa fattura in atti: alla voce
“altri addebiti/accrediti, contributo spese di spedizione conto Telecom
Italia” è infatti prevista anche la maggiorazione dell’iva al 20% senza
che se ne capisca il perché e la ragione giustificativa; ebbene, a tal
proposito deve osservarsi che si profilano le seguenti possibilità: 1)
stando alla ricostruzione della Suprema Corte circa la riconduzione
della fattispecie all’art. 15, n. 3, dpr 633/1972, l’appellante avrebbe
dovuto pagare in nome e per conto del cliente facendosi rilasciare una
fattura intestata direttamente a quest’ultimo a cui l’avrebbe dovuta
consegnare; 2) Telecom potrebbe, altresì, aver fatto intestare la
fattura direttamente a se stessa, scaricandosi così l’IVA e chiedendo
il rimborso al cliente del costo più IVA: tuttavia, tale ipotesi
presuppone che Telecom si sia rivolta per la spedizione ad un soggetto
diverso dalle Poste italiane (e soggetti assimilati) che agiscono in
esenzione da IVA ex art. 10, punto 16, dpr 633/1972, determinando così
irragionevolmente un costo aggiuntivo a carico del cliente (cioè, l’iva
che altrimenti non sarebbe stata pagata); 3) Telecom si rivolge per la
spedizione a Poste italiane e quindi in esenzione da IVA: in tale
ipotesi, quindi, la maggiorazione chiesta al cliente dell’IVA calcolata
sul costo di spedizione rende inequivocabile la presenza di una
prestazione più complessa e non la semplice rivalsa per un servizio di
recapito delle bollette;
e) in sintesi, l’addebito, oltre al
costo della spedizione, anche dell’IVA calcolata su questo costo
integra in ogni caso un comportamento che segnala una posizione di
squilibrio in danno del consumatore e la violazione dell’art. 1469 bis
n. 18, in quanto: 1) o l’IVA è stata addebitata perché Telecom si
rivolta per la spedizione a soggetti che non godono dell’esenzione ex
art. 10 dpr 633/1972: e allora così facendo ha imposto al consumatore
di pagare anche una somma ulteriore a titolo di IVA, che non avrebbe
sborsato ove Telecom si fosse rivolta a Poste Italiane o soggetti
assimilati; 2) oppure l’IVA è stata addebitata nonostante il fatto che
Telecom si sia rivolta per la spedizione a soggetto agente in esenzione
da IVA: e allora, è chiaro che quell’IVA aggiuntiva è determinata dalla
prestazione di un servizio, sicché non si versa in mera ipotesi di
rimborso spese; 3) nessun documento Telecom allega alla fattura
comprovante al consumatore tali costi: ne consegue che, ove il cliente
volesse finalmente far luce sulla legittimità di tale operazione,
sarebbe costretto in primo luogo a ricorrere a strumenti processuali
costosi e che, di fatto, è il cliente a dover dimostrare che Telecom
chiede di più di quanto ha pagato effettivamente e non già Telecom a
dimostrare – come sarebbe ragionevole secondo criteri di normalità,
correttezza e buona fede tanto più doverosi in presenza di posizioni
contrattuali asimmetriche – di esercitare correttamente la “rivalsa”
nei confronti del cliente;
f) l’art. 14, punto 6 è, quindi,
una ipotesi di, per così dire, prezzo occulto: infatti, al consumatore
– proprio perché il costo è previsto in clausola diversa – si
rappresenta un prezzo comprensivo dell’abbonamento diverso da quanto
poi effettivamente dovrà sborsare: infatti, in fattura il cliente si
ritrova a non dover pagare solo il prezzo pattuito ma anche i c.d.
costi di spedizione: non a caso l’attuale codice del consumo agli artt.
13 e ss. dedica una disciplina tutta finalizzata ad assicurare che il
consumatore fin da subito sappia con chiarezza quanto dovrà sborsare
per la prestazione del servizio, interessando a quest’ultimo prima di
tutto sapere qual sarà il prezzo finale comprensivo di tutte le voci e,
poi, in ipotesi la giustificazione di tale prezzo; è chiaro che – anche
in una logica concorrenziale – a parità di condizioni, il cliente tende
a scegliere il servizio meno costoso nel totale, disinteressandosi (al
di là della qualità del servizio) delle ragioni per cui una impresa
propone un prezzo rispetto ad un’altra;
g) non solo si pone a
carico del cliente un prezzo occulto, ma il consumatore diventa
destinatario di un prezzo maggiorato anche di oneri fiscali che, come
innanzi dimostrato, altrimenti potrebbe evitare, atteso che – oltre a
pagare le spese vive – è tenuto altresì anche a pagare la somma a
titolo di iva.
h) il professionista non ha dimostrato – al fine
di optare per la validità della clausola – che vi sia stata idonea
trattativa individuale, che per essere tale deve – stando ai principi
enunciati dalla Suprema Corte con ord. 26.9.2008, n. 24262 – essere
caratterizzata dai requisiti della individualità (avere cioè riguardo
alle clausole o agli elementi di clausola costituenti il contenuto
dell’accordo, presi in considerazione singolarmente e nel significato
che assumono nel complessivo tenore del contratto), serietà (essere
svolta dalle parte mediante l’adozione di un comportamento
obiettivamente idoneo a raggiungere il risultato cui è diretta) ed
effettività (essere stata non solo storicamente ma anche in termini
sostanziali effettuata, nel rispetto della autonomia privata delle
parti, riguardata non solo nel senso della libertà di concludere il
contratto ma anche nel suo significato di libertà e concreta
possibilità anche per il consumatore di determinare il contenuto del
contratto)
Infine, in ordine al d.m. n. 197/1997, art. 30
(secondo cui: “ogni spesa, imposta o tassa di abbonamento è a carico
dell’abbonato”) è agevole osservare che: a) tale disposizione a ben
vedere non ha ad oggetto questioni attinenti alla fatturazione e ai
relativi incombenti, bensì al regime fiscale del contratto di
abbonamento; b) in ogni caso, va coordinato col predetto art. 53
secondo cui si deve offrire al cliente la possibilità di alternative
rispetto alla spedizione della fattura; c) il d.m. predetto di certo
non può derogare agli artt. 1469 bis e ss.
Le spese seguono la
soccombenza e, stante l’assenza di nota specifica in atti, sono
liquidate tenuto conto del valore della controversia, delle ragioni
della decisione, della natura impugnatoria del presente grado di
giudizio e dell’attività processuale svolta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Napoli, sez. civ. dist. di Pozzuoli, definitivamente pronunziando, così provvede:
a)
rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata n.
5197/06 emessa dal Giudice di Pace di Pozzuoli in data 3/7-22.9.2006;
b)
condanna TELECOM ITALA s.p.a. in p.l.r.p.t. al pagamento, con
attribuzione in favore del procuratore anticipatario, delle spese
processuali, liquidate in € 60,00 per spese, € 1350,00 per diritti e
onorari, oltre iva, cpa e rimborso del 12,5% su diritti e onorari.
Pozzuoli, 10.03.2010
Il Giudice unico