Tv, la “vita indiretta” degli italiani a picco la fiducia in Tg1 e Tg5
ORMAI è difficile distinguere fra media, politica e vita reale. È quasi un luogo comune. Tuttavia, è inevitabile, soprattutto in questi giorni. Mentre infuria il dibattito sulla censura ai programmi e ai giornalisti in televisione. Sui giornali-partito oppure al servizio dei partiti (personali). Mentre imperversa lo spettacolo quotidiano del dolore. Il sondaggio annuale sugli “italiani e l’informazione”, condotto dall’Osservatorio Demos-Coop, d’altronde, offre una raffigurazione perfino “spettacolare” di questo Paese sospeso tra realtà e rappresentazione.
Ne isoliamo gli aspetti, a nostro avviso, più significativi.
1. Il primo riguarda, non a caso, il ruolo (ancora) dominante della televisione. Oltre 8 italiani su 10 continuano, infatti, a informarsi quotidianamente in tivù, attraverso i canali nazionali. È stabile, rispetto all’anno scorso, la quota di persone – una su tre – che ricorre regolarmente ai quotidiani. Lo stesso discorso vale per internet. Mentre gli ascoltatori assidui della radio non solo tengono, ma crescono perfino un poco (43%: tre punti in più). Dunque, si profila uno scenario stabile. Nell’insieme, però. Perché all’interno si colgono cambiamenti molto significativi.
2. La variazione più evidente rispetto allo scorso anno coincide con il sensibile calo di fiducia subìto dai maggiori telegiornali di Rai e Mediaset. Ormai condividono lo stesso destino, come una sola, unica impresa: MediaRai. La fiducia verso il Tg 1 si attesta al 53%. Cioè, 10 punti meno di un anno fa, ma addirittura 16 rispetto al 2007. Il Tg 5 considerato “affidabile” dal 49% degli italiani: 8 in meno dell’anno scorso. Anche gli altri telegiornali di MediaRai calano. Ad eccezione del Tg 3, che mantiene un consenso molto elevato (63%) e, ancor più, dei Tg regionali Rai. I più apprezzati.
Cresce, invece, il gradimento verso i Tg de La 7 (ora diretto da Mentana), Sky e Rai news 24 (quest’ultima, presumibilmente, trainata dal Tg 3, che spesso ne diffonde le edizioni). Il che spiega, in parte, l’andamento deludente dei principali notiziari di MediaRai, confermato anche sul piano degli ascolti Auditel. La concorrenza è favorita anche da altri fattori. Sky e La 7, in particolare, sono ritenuti, non a torto, meno condizionati politicamente. Il posizionamento politico penalizza, inoltre e non a caso, soprattutto il Tg 1, la cui identità, presso il pubblico, appare sensibilmente cambiata. Era al centro, anzi: il Centro. Un Tg ecumenico. Oggi, invece, appare sempre più spostato verso destra. Visto che ottiene il massimo della fiducia tra gli elettori del Pdl e della Lega. Il “nuovo centro”, invece, appare Sky Tg 24. Anche se occupa uno spazio più ridotto. Come quello politico, d’altronde.
3. Al contrario dei notiziari, i programmi di dibattito e approfondimento politico e sociale non sembrano soffrire. Ballarò si conferma la trasmissione più affidabile per gli italiani. Ma Anno Zero, di Michele Santoro, nell’ultimo anno, ha visto crescere molto il gradimento del pubblico. Come, d’altronde, Report di Milena Gabanelli. Trasmissioni apprezzate soprattutto dal pubblico di centrosinistra, rivelano il paradosso di questo Paese, schifato dalla politica, che, tuttavia, sente bisogno di politica. E si rivolge, per questo, alla televisione. Non a caso, cresce il gradimento dei due programmi de La 7: Otto e mezzo, condotto da Lilli Gruber (6 punti in più nell’ultimo anno, addirittura 11 negli ultimi tre) e L’Infedele di Gad Lerner (anch’esso 6 punti in più nell’ultimo anno). Contribuiscono al successo della rete, dettato, soprattutto, dal ruolo attribuito all’informazione. Porta a Porta e Matrix vedono scendere, di poco, la fiducia nei loro confronti. Forse perché si tratta di programmi spostati, sempre più, in direzione dell’infotainment.
Un terreno battuto, in modo esplicito, da altre trasmissioni, che, anzi, antepongono l’intrattenimento e, talora, la satira. Con risultati molto significativi. Striscia e le Iene, ma anche il salotto di Fazio risultano molto graditi e ottengono ascolti super. Il che precisa ulteriormente il paradosso precedente. La politica e i politici sollevano il disprezzo ma anche l’interesse popolare. Fanno spettacolo. Raccontano i fatti nostri (e vostri).
4. Oggi, d’altronde, è difficile anche distinguere tra spettacolo e vita. Nell’omicidio di Sarah Scazzi, in particolare, i confini sono invisibili. La scena, ormai, è unica. Confusa. Affollata da personaggi numerosi e indistinti. I familiari e i congiunti della vittima, insieme a quelli dei presunti assassini e complici. Insieme ai conduttori e ai sedicenti opinionisti dei programmi del pomeriggio e della seconda serata. Poi i giornalisti. Gli inviati ad Avetrana. Embedded. Parte delle stessa rappresentazione. Certo: i programmi del pomeriggio hanno un pubblico ben definito. Donne, casalinghe, anziani e pensionati. Quelli che passano più di 4 ore davanti alla tivù ogni giorno. Ma abbiamo l’impressione che Avetrana sia divenuta teatro di uno spettacolo su cui tutti gettano lo sguardo, con attenzione diversa e intermittente.
5. L’importanza della tivù non deve fare dimenticare le trasformazioni prodotte dalle nuove tecnologie della comunicazione. Internet, i Social Network, Twitter e Facebook, Skype. D’altra parte, il 40% degli italiani – soprattutto giovani e istruiti – è, ormai, connesso quotidianamente in rete. Dove si informa, chatta, compra, vende, partecipa, “si mostra”. È la comunità in Rete, che forza i confini della società ridotta a una platea di spettatori.
6. Eppure, mentre si assiste all’avvento dei nuovi media, il sondaggio dell’Osservatorio Demos-Coop sottolinea l’importanza dei media “tradizionali”. Magari “innovati” e ibridati dalle nuove tecnologie, come avviene per i quotidiani online. Il che riproduce – e ripropone – l’immagine dell’Italia come un Paese, anzi: un “paese” raccolto davanti alla tivù. Dove si mette in scena lo spettacolo della vita, del dolore e del divertimento, della politica e della compassione. A cui tutti, o quasi, vorrebbero – e cercano di – partecipare. Se non da protagonisti, almeno da comparse. Di cui tutti si sentono parte. Per questo anche noi, come il 55% degli italiani, riteniamo che la posizione dominante di Berlusconi sui media danneggi la libertà di informazione. E, come il 62% degli intervistati, pensiamo che condizioni la vita politica nazionale. Tuttavia, siamo convinti che non basteranno leggi e regole nuove a ridimensionare l’influenza del Cavaliere. Perché viviamo in un paese mediale plasmato da lui. Pensiamo di assistere alla vita in diretta. E invece viviamo una vita indiretta.