Un nuovo episodio nella lotta alle assenze nella PA
Quella delle azioni per la riduzione delle assenze nella PA è una
storia articolata che comincia nel giugno del 2008 e che trova una sua
provvisoria conclusione in queste prime settimane del 2010. Credo sia
utile narrare gli ultimi episodi, ma anche ripercorrerla per esaminarne
lo svolgimento, metterne in luce i protagonisti, sottolinearne, come in
ogni storia che si rispetti, la “morale”. Ma poi anche per scombinarla,
come quelle “favole al contrario” di Gianni Rodari, per vedere se,
trasformandone la trama, arriviamo a conclusioni più utili per cambiare
in meglio questa pubblica amministrazione così impermeabile alle
riforme.
Ma partiamo dai fatti: qualche settimana fa abbiamo appreso
che nel mese di dicembre 2009 c’era stata una decisa inversione di
tendenza e che le assenze per malattia nel pubblico impiego erano
tornate e scendere e non di poco. Si tratta di una notizia: infatti,
dopo un crollo significativo, dall’estate il trend era in crescita,
sino a raggiungere un +24% a settembre rispetto allo stesso mese
dell’anno precedente.
Il ministro Brunetta in una conferenza stampa
ha attribuito questa svolta positiva al nuovo allargamento delle fasce
di reperibilità passate da 4 a 7 ore al giorno. Allo stesso motivo, ma
con segno inverso, era stato attribuita la crescita delle assenze che,
cominciata a maggio-giugno 2009, aveva raggiunto il suo massimo appunto
a settembre scorso.
Il ragionamento è semplice: teoricamente ci si
poteva aspettare che, senza fenomeni esterni distorsivi, dopo un anno
dalle prime azioni ci sarebbe stato un sostanziale assestamento delle
assenze (sempre calcolate rispetto allo stesso mese del precedente anno
per evitare effetti di stagionalità), invece, la curva presenta alcuni
importanti flessi.
Proviamo ad esaminare le tre principali discontinuità.
La
prima è proprio tra il maggio e il giugno del 2008 e risente
dell’annuncio e poi dell’applicazione del “decreto 112” che, in buona
sostanza, ha introdotto:
• una riduzione salariale per la
malattia: “nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il
trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o
emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo,
nonché di ogni altro trattamento accessorio”;
• un deciso
allargamento della fasce di reperibilità per le visite fiscali che sono
passate da quattro al giorno (10.00 – 12.00; 17.00 – 19.00) come nel
lavoro privato, addirittura a undici (8.00-13.00; 14.00-20.00).
Il
secondo punto di svolta, di segno contrario, che fa transitare per la
prima volta la curva in territorio positivo corrisponde, secondo la
ricostruzione ufficiale del ministero, ad un restringimento proprio
della fasce di reperibilità che, con un comma del decreto legislativo
n. 78 del 1° luglio 2009 tornano ad essere di quattro ore come prima.
Il
terzo drastico mutamento è quello con cui abbiamo iniziato: si torna ad
essere più severi sulle fasce di reperibilità che passano a sette ore
ed ecco che immediatamente le assenze calano, sino a poter prevedere il
ritorno di nuovo al segno meno per il gennaio 2010.
In questo
esperimento sociale avremmo quindi un fenomeno (le assenze per
malattia) e una variabile principale che spiega in larga misura
l’andamento della curva (le fasce di reperibilità).
Di fronte a
questo risultato, che è difficile non interpretare come una prova della
diffusione di comportamenti opportunistici nel pubblico impiego e della
loro diretta dipendenza dalla severità dei controlli, si sono levati
diversi ordini di obiezioni.
Si è detto che i dati non erano
completi o esatti. Si è gridato al bluff (si veda, ad esempio, la
querelle tra il ministro e l’Espresso), si sono contestate le
correzioni per i picchi influenzali o si sono messe in evidenza
eccezioni e casi particolari, ma in effetti posso dire con onestà
intellettuale che l’impianto dei dati è solido e nella sua struttura
tiene. Non è lì che possiamo cercare un ribaltamento della storia.
Si
è detto che portare i dipendenti pubblici fisicamente al lavoro non
vuol dire farli lavorare, e questa mi sembra una corretta ovvietà.
Certamente ridurre le assenze non basta, né sono accettabili facili
inferenze su quanto lo Stato avrebbe “guadagnato” (ho persino visto
fare calcoli demenziali di milioni di euro risparmiati). Ma, come ci
insegna la matematica, il non essere condizione sufficiente non implica
in sé il non essere necessaria. Sgombrato, quindi, il campo dalla
sciocchezza dell’essere sufficiente, rimane da dimostrare se la
maggiore severità sulle assenze (meno soldi e più controlli) è
necessaria per dare una mano all’indispensabile e eterna riforma della
PA.
Per farlo ribalterei la storia, lascerei per un attimo perdere
assenze, fasce e malattie e tornerei ai fondamentali principi che
permettono a qualsiasi organizzazione complessa di creare le condizioni
per cui i lavoratori aumentino la loro produttività in un clima di
“benessere organizzativo”.
A tal fine cito uno studio di Francesco Avallone dell’Università La Sapienza di Roma.
Dice Avallone, e mi convince molto, che per promuovere una buona convivenza organizzativa sono necessarie dieci condizioni:
1. rispetto delle norme;
2. tolleranza delle diversità;
3. sicurezza e stabilità;
4. efficacia individuale e collettiva;
5. giustizia;
6. sostegno dell’altro;
7. fiducia e sostegno all’innovazione;
8. attenzione all’altro;
9. equilibrio tra i ruoli;
10. piacere della relazione.
La
prima delle condizioni è quindi avere regole del gioco chiare e
pretendere il rispetto delle norme. In questo senso, di fronte ad una
diffusa, seppure assolutamente non uniforme, condizione di lassismo e
di arbitrio, la lotta all’assenteismo costituisce un punto fermo e
insieme un simbolo importante, oltre a difendere gli onesti.
Basta
da sola? Ovviamente no: le condizioni sono dieci e tutte importanti.
Pensate alla quinta di questo elenco che riporta al sentimento di
giustizia che si basa su una corretta, trasparente e chiara
valutazione. O alla terza che chiarisce che, senza una sicurezza che
permetta progetti e futuro, è difficile ottenere partecipazione. In
questo senso, se ripristinare regole certe è una necessaria partenza,
credo che il necessario passo successivo sia un’attenzione costante
allo sviluppo delle risorse umane: tutte le grandi organizzazioni
moderne riconoscono che sono le persone la vera ricchezza.
In
conclusione, devo quindi ammettere che avevo torto io a non credere
alla correlazione tra controlli e assenze? Davvero ci sono un sacco di
“furbetti” che si danno malati per fare altro?
Forse sì, eppure non
mi rassegno: da inguaribile ottimista non riesco ad accettare come
normale che esistano tanti falsi malati, tanti lavoratori che non
aspettano altro che di marcare visita e farla franca. Qualcosa non mi
lascia tranquillo.
Forse perché continuo a pensare che una
vittoria sull’assenteismo ottenuta con più controlli e più tornelli sia
una vittoria fragile. Una vittoria che si fonda sulla sabbia delle
normative sempre mutevoli e non sulla roccia di un diverso clima di
lavoro.
Forse perché credo che vittorie di questo genere siano in
realtà mezze sconfitte: perché sanciscono l’incapacità (o
l’impossibilità per i più pessimisti) di creare ovunque posti di lavoro
dove si fa il proprio dovere con soddisfazione, dove ci si sente parte
di una squadra, dove ci si sente riconosciuti.
Forse perché mi
ricordo il sondaggio che, nel 2005, fece il dipartimento della Funzione
pubblica (allora ci si occupava molto di più di benessere
organizzativo) assieme all’Università di Roma La Sapienza. Si scoprì
che la maggiore causa dell’insoddisfazione nel lavoro pubblico era data
dalla percezione di una sostanziale non equità nel trattamento e di non
riconoscimento dei meriti, delle capacità, delle professionalità.
Forse
perché leggo le centinaia di commenti che arrivano sul sito di FORUM PA
e che parlano di professionalità negate, di talenti sprecati, di
appartenenze politiche o di clan che fanno premio su ogni altro merito.
Questo
credo sia il nuovo fronte su cui l’eroe della nostra storia dovrà
provarsi. Il riconoscimento del merito, l’indipendenza, la coerenza
nelle procedure d’accesso alla dirigenza. Altrimenti la lotta alle
assenze servirà solo a consumare più elettricità negli uffici.