Un piano per i titoli di studio nei concorsi. La laurea peserà meno
Venerdì prossimo, in Consiglio dei ministri, confronto sul tema della laurea: il suo valore legale, il peso che ha nei concorsi pubblici. Sullo sfondo, la proposta di un diverso criterio di accreditamento dei singoli atenei: ovvero il peso specifico che potrà avere il prestigio accademico di un’università (quindi anche i suoi criteri selettivi) rispetto ad altre. Stando alle indiscrezioni, nelle cartelle del governo sarebbe pronto per la discussione un provvedimento con molte novità.
Primo: nei concorsi pubblici, soprattutto per i quadri dirigenziali, dovrebbe cadere il vincolo del tipo di laurea. Basterà un titolo per partecipare. Ci saranno le doverose eccezioni «tecniche» (nel caso in cui occorra una competenza specifica, per esempio, da ingegnere). Però conteranno maggiormente la capacità e la professionalità dimostrata dal candidato durante il concorso. In sostanza, per diventare dirigente di una Asl poco importerà se ho una laurea in Giurisprudenza o in Lettere, sarà decisivo il mio risultato personale nel concorso. Secondo: revisione del criterio legato al voto di laurea, che dovrebbe sparire come elemento di punteggio. Terzo: diverso accreditamento, cioè «apprezzamento», delle singole università, che smetteranno di essere di fatto tutte uguali.
Se ne è già discusso venerdì scorso: al dibattito informale hanno partecipato, oltre al presidente Mario Monti e al ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, anche i ministri Anna Maria Cancellieri (Interni), Paola Severino (Giustizia), Filippo Patroni Griffi (Pubblica amministrazione) suscitando anche l’interesse di Lorenzo Ornaghi (Beni culturali, rettore della Università Cattolica di Milano). Nel prossimo Consiglio dei ministri, con ogni probabilità, si arriverà a una sintesi. Creando un elemento di forte novità e discontinuità rispetto al passato.
In Confindustria, per esempio, si fa sapere che «non si può non essere d’accordo» con una mossa che «va sicuramente nella direzione di una vera liberalizzazione». Ma si sottolinea anche come si debba proteggere il «consumatore di formazione» (lo studente, la sua famiglia) circa la qualità del prodotto che si sceglie. Ovvero aiutare quel «consumatore» a capire quale sia l’ateneo giusto. O se, addirittura, certi atenei siano da evitare. Naturalmente nel settore privato la laurea in sé ha un peso specifico diverso rispetto al settore pubblico. La Confindustria da sempre guarda con favore alla prospettiva di un maggior rigore nella selezione degli atenei e a una autentica concorrenza tra i migliori. E ripone molta fiducia nel lavoro dell’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del Sistema universitario e della ricerca presieduta da Stefano Fantoni.
Dice Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli: «Nel settore privato non cambierà molto. E’ del tutto ovvio che un capo del personale di una qualsiasi azienda assume valutando i pro e i contro delle caratteristiche dei candidati, indipendentemente dalla laurea e dal suo stesso punteggio. Detto questo, se davvero il Consiglio dei ministri varasse un provvedimento del genere, si stabilirebbe un principio sacrosanto anche per la pubblica amministrazione. Cioè la possibilità di accedere per le competenze acquisite dalla singola persona e non solo in base al famoso “pezzo di carta”. Mi sembra molto giusta la prospettiva di rimuovere, per esempio, il blocco del tipo laurea per accedere alle professioni della pubblica amministrazione».
Gavosto sottolinea poi un altro aspetto, che riguarda più direttamente le «fabbriche del sapere» (le università) e quindi i famosi «consumatori di formazione» (gli studenti che si affacciano sul mondo del lavoro). Dice Gavosto: «Non tutti gli atenei sono uguali. Lo sappiamo benissimo. Di conseguenza non tutti i voti conseguiti sono uguali. E bisognerà saperne tenere conto, nelle nuove norme. Ma sarebbe tempo che gli atenei si specializzassero puntando sulle discipline nelle quali sono più forti. Farò un esempio: Teramo offre una facoltà di Veterinaria sicuramente tra le migliori in Italia se non in Europa. Sarebbe bene che si concentrasse in quella materia, lasciando perdere in prospettiva i corsi più deboli. E ciò dovrebbe valere per tutte le università del nostro Paese»
Invece Attilio Oliva, presidente di TreeLLLe-per una società dell’apprendimento continuo (che da anni si occupa di miglioramento della qualità dell’education nel nostro Paese), punta l’indice contro l’abitudine tutta italiana di affidarsi burocraticamente e schematicamente alla «certezza» dei numeri, cioè dei punteggi: «L’ossessione dell’oggettività uguale equità si trasforma in un inno alla deresponsabilizzazione di chi è chiamato a scegliere, a selezionare».
Cosa vuole dire, con questo ragionamento, Oliva? «Molto semplice. Il punteggio diventa l’unico elemento amministrativo-burocratico di certezza. Mentre è del tutto evidente che il valore delle singole lauree dipende soprattutto dalla qualità e dalla serietà dell’ateneo che le ha rilasciate. Insomma, la vera svolta si avrà quando, nella scelta dei migliori, anche nella pubblica amministrazione ci sarà una adeguata responsabilizzazione dei selezionatori. Magari dopo una discussione collettiva, arrivando a una sintesi».