Un verbale da 1590 euro, una ricevuta e i paradossi della burocrazia cieca
Quando dalla finestrella trasparente della busta spunta la scritta
Equitalia non è mai una bella giornata. Se poi scopri che devi pagare
millecinquecentonovantuno euro virgola quarantatré centesimi per una
multa del 2004 la giornata tende a diventare pessima. Non l’ho pagata,
certamente non l’ho pagata. Se arrivo a dimenticarmi dove ho posteggiato
l’auto, figuriamoci se non mi scappa un verbale. Altri pensieri non ne
ho, credo poco ai complotti e rispetto le istituzioni: quando uno è
«ingiustamente tartassato», per prima cosa diffido della sua versione.
In questo caso poi non ci sono alternative: anche l’avessi pagata, come
faccio a recuperare una ricevuta di sette anni fa? Invece l’ho
recuperata. Ha resistito a due traslochi, a piccole e grandi pulizie,
alla vecchiaia e alle malattie (ancora due anni e l’inchiostro non si
leggeva più) rifugiandosi in una cartellina rossa. Sia benedetta. A
questo punto posso e forse devo tromboneggiare sui diritti dei cittadini
calpestati trattandosi di errore che poteva trasformarsi in angheria.
Comincio subito: come diavolo fa una multa di trecento euro e
fischia a quintuplicarsi senza che in sette anni nessun’altra richiesta
intermedia sia mai arrivata? Quanti conservano pezze giustificative
stampate nell’anno in cui George W. Bush si ricandidava alla presidenza
degli Stati Uniti, Marco Masini vinceva il festival di Sanremo ed Edgar
Davids era il regista della Juventus? Sono entrato nella sede di
Equitalia Treviso con la mia iscrizione a ruolo 2011/005394 proprio nel
giorno in cui il nuovo direttore regionale, intervistato da un
quotidiano, prometteva dialogo e comprensione per risolvere i
contenziosi. Ho capito subito che prima di tromboneggiare avrei dovuto
risolvere il problema allo sportello che esibire la ricevuta del
pagamento avvenuto non bastava. Ho chiesto di parlare con il
responsabile del procedimento indicato nella cartella, il signor Antonio
Falso, nessuna intenzione di ironizzare sul nome, ma non è stato
contattato. L’impiegato ha risposto sbrigativo: «Noi riscuotiamo, non
rispondiamo nel merito del dovuto o non dovuto». E avanti un altro. In
effetti nella cartella c’è scritto: per i chiarimenti relativi alle
somme il responsabile deve rivolgersi all’ente che ha emesso il ruolo.
Mi sembra un po’ così, della serie mandiamo avanti il grosso a tirare
«la pila». Equitalia chiede i soldi ma nemmeno di fronte alla ricevuta
si sporca le mani. Prenderà pure un compenso per esigere il «dovuto» no?
Chiamo l’ente che nella cartella è indicato come Ufficio territoriale
del governo di Arezzo. Tradotto: la prefettura. In effetti da quelle
parti avevo preso la multa adesso che mi ricordo. E là avevo fatto
ricorso, perdendolo e pagando.
Chiamo un paio di volte e dopo cinque risposte del genere «le
passo una collega » trovo una signorina gentilissima che mi chiede di
inviare tutto per fax. Eseguo ma non si legge: l’inchiostro è sbiadito.
Percepisco dubbi sulla mia onestà, a parti inverse avrei assunto lo
stesso atteggiamento. Scannerizzo la ricevuta e il tono cambia. «Mi sa
che ci sono gli estremi per cancellare l’iscrizione a ruolo». Mi sa. Non
per astio, ma questa mi spetta: «Scusi signorina, perché ho ricevuto
per posta questo annuncio di sventura se avevo pagato e ossequiato
tutti? » Risposta: «Doveva mandarci copia del pagamento all’epoca». E da
quando vige questa prassi? «Da sempre in caso di ricorso». E come si
arriva a 1.591 euro? E perché non ne ho mai saputo nulla in questi anni?
«Questo non lo so». Non mi viene una gran morale da questa storia,
forse che qualche volta si tromboneggia per qualcosa, forse che enti e
istituzioni possono davvero renderti vittima di involontarie angherie.
Solo le chiamano errori o fatalità. ( Ps: Anticomplottista sì,non credo
ci abbiano provato. Ma un pizzico di sfiducia è rimasta e ho scritto
questa storiella una volta ricevuto l’annullamento della cartella e
della megamulta. Hai visto mai.).