“Università, via i baroni largo ai giovani”
pensione i baroni universitari a 65 anni e non a 72, tenendo in
attività solo le «eccellenze» del sapere nazionale con contratti
ancorati a ricerche in corso, per fare spazio ai «giovani» ricercatori
che troppo spesso entrano in ruolo a 40 e passa.
Lo «shock
generazionale» è il primo dei 10 capitoli che compongono uno dei cinque
documenti messi ai voti sabato all’assemblea del Pd, chiamata alla
conta da Bersani sui temi cardine del «Progetto Italia»: lavoro,
università, riforme e giustizia, Europa e green economy. Un pacchetto
mirato a dare una fisionomia più definita ai «Democrats», ove possibile
con messaggi forti rivolti alle nuove generazioni, nel tentativo di
superare l’alone di ambiguità che rende evanescente l’immagine del
partito. E mentre sul dossier «Lavoro» il Pd ancora litiga sul
contratto unico, la bozza sull’Università è pronta e cade in un momento
di tensioni nel mondo accademico, con 50 mila precari e giovani
ricercatori che minacciano di sospendere le attività didattiche. Oggi
scatta una mobilitazione negli atenei con occupazioni simboliche dei
rettorati organizzate da sigle ed associazioni di docenti contro i
tagli dei fondi e i contenuti del disegno di legge Gelmini all’esame
del Senato.
Partendo dalle due premesse che «la vera emergenza
italiana è la ricerca» e che «le politiche dei governi di
centrosinistra non sono esenti da colpe», la proposta sull’Università
punta ad «una rivoluzione» che superi il gap di un Paese che ha «la
classe accademica più anziana dell’Occidente». I dati parlano chiaro:
il 26,6% dei quasi 20 mila professori ordinari ha più di 65 anni e il
54% dei docenti supera i 50 anni, contro il 41% della Francia e il 32%
della Spagna. E quindi il pensionamento a 65 anni, che in linea di
principio trova concorde la Gelmini, se fosse tramutato in legge,
consentirebbe di destinare le risorse all’assunzione di nuovi docenti.
«Sempre che sia eliminato il blocco del turn over, decisivo perché la
proposta funzioni», spiega Marco Meloni del Pd, che con Chiara Carrozza
ha messo a punto il dossier. «La finalità è abbassare di 10 anni l’età
media dei docenti. Una proposta a costo zero, considerando che già oggi
il 100% del Fondo di finanziamento ordinario, portato da 7 a 6 miliardi
con gli ultimi tagli, è utilizzato per pagare gli stipendi».
Sarà
pure a costo zero, ma è vero che di questa ipotesi si discute da mesi
nei blog e nelle sedi parlamentari senza che si sia approdato a nulla
per le troppe resistenze dei «baroni». E per lanciare un segnale ai
giovani, i delegati del Pd dovranno votare anche a favore del
«contratto unico per la ricerca», altro pilastro della proposta: «Oggi
– spiega Meloni – esistono svariate forme contrattuali, di ricercatori
che guadagnano 1000 euro e sono privi di tutele assistenziali e
previdenziali. Il contratto unico non raddoppia i costi per gli atenei,
a cui verrebbero applicate le agevolazioni dei contratti di formazione».
Il
terzo cardine della «rivoluzione» promessa dai «Democrats» poggia sullo
slogan «Erasmus in Italia» per promuovere la «mobilità geografica e
sociale» degli studenti: a ognuno sarebbe collegato un «voucher» che
può spendere se è in corso, nell’università che preferisce, «con un
piano per le residenze universitarie e contributi all’affitto per i
fuorisede». Per bilanciare i costi l’introduzione di un altro
principio, riferito alle fasce di reddito alte: «Chi andrà fuori corso
deve sapere che le sue tasse universitarie potranno aumentare,
costituendo così un fondo per i più meritevoli».