Uso esclusivo della cosa comune: il condominio può a due condizioni
“Al singolo condomino è consentito servirsi in modo esclusivo di parti comuni dell’edificio soltanto alla duplice condizione che il bene, nelle parti residue, sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali, analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla comunione e che lo stesso, ove tutte le predette esigenze risultano soddisfatte, non perda la sua normale ed originaria destinazione, per il cui mutamento è necessaria l’unanimità dei consensi”.
La Corte Suprema ribadisce, con la sentenza 21 settembre 2011, n. 19205 quanto più volte affermato in materia di uso della cosa comune, dirimendo una controversia sorta tra proprietari di appartamenti posti nello stesso stabile ed avente ad oggetto la costruzione nel vano scale, da parte di due di loro, di un ripostiglio in cui era stata installata una caldaia privata.
Nella specie, l’estremo organo giudicante ha ritenuto fondati i motivi di ricorso avanzati dai condomini contrari alla modifica, censurando l’iter argomentativo della Corte territoriale investita del gravame d’appello.
La sentenza impugnata, deduce la Corte, quanto alla parità d’uso, qualificando l’allocazione della caldaia alla stregua di uso più intenso della cosa comune (e, come tale, consentito dall’art. 1102 c.c.), ha erroneamente valutato, in maniera peraltro del tutto generica, unicamente la prima delle citate condizioni, vale a dire la potenziale fruizione del vano scala da parte degli altri condomini per il soddisfacimento “delle loro analoghe esigenze”, date le modeste dimensioni del manufatto installato, senza rilevare se il posizionamento non di una ma di tante caldaie quanti i condomini, fosse intanto materialmente possibile, ma soprattutto compatibile con l’originaria destinazione del vano scale comune, ossia dare accesso alle singole proprietà individuali.
Accogliendo i motivi, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata con rinvio della questione ad altra sezione della Corte d’Appello territorialmente competente, con l’invito a quest’ultima di decidere la controversia attenendosi al principio di diritto riaffermato con la pronuncia in esame.