USURA SOGGETTIVA E MUTUO: CONCRETE MODALITA’ DEL FATTO
– Carlo Sangermani Ritella
Nell’individuazione dell’usura soggettiva rilevano le “concrete modalità del fatto”.
Queste, nei contratti di mutuo bancari, sono individuabili anche nelle clausole del contratto.
Alcune clausole ricorrenti, poiché foriere di notevole svantaggio nei confronti della clientela, contribuiscono a condurre il contratto in territorio usurario.
1. Il terzo comma dell’articolo 644 del Codice Penale costituisce lo spartiacque tra la c.d. usura oggettiva e quella denominata soggettiva o in concreto (detta anche residuale):
“La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”.
Nei contratti bancari di mutuo sarebbe di semplice individuazione (il condizionale è dovuto alla bagarre concernente il ruolo degli interessi moratori nella ricostruzione del costo effettivo dell’operazione finanziaria) la fattispecie delineata dal primo periodo della regola penalistica, perché il superamento del tasso soglia individuato con il meccanismo previsto ex lege non rende necessarie ulteriori indagini: il negozio è viziato da usura (oggettiva, in ragione della presa in considerazione del solo dato numerico per sua natura incontrovertibile).
Il secondo periodo interessa i contratti nei quali il costo globale del mutuo va a collocarsi in quel limbo che ha come confini il tasso medio di riferimento da una parte e la soglia usuraria dall’altra.
Qui l’indagine deve essere allargata.
Sulle condizioni di “difficoltà economica o finanziaria” del mutuatario non sembrano esserci grandi difficoltà interpretative, essendo ormai assodato che il livello di soggezione della parte debole previsto dalla novella del 1996 costituisce un “minus” rispetto allo “stato di bisogno” di cui alla normativa precedente (oggi residua come aggravante, non essendo più elemento costitutivo della fattispecie che rileva ai fini civilistici qui approfonditi).
Sul punto si rinvia, per tutte, a Cassazione Penale 18778/14.
Le “concrete modalità del fatto” sono assai parcamente analizzate nelle decisioni di merito.
Dal punto di vista concettuale la costruzione della regola sembrerebbe lineare.
Un soggetto è in posizione di sfavore, versando in difficoltà economiche o finanziarie, ed accetta di sottostare a tassi superiori a quelli medi di mercato.
La concreta modalità del fatto “chiude il cerchio” , individuando quell’ulteriore elemento a suffragio dell’ipotesi del complesso usurario dell’operazione.
La difficoltà insorge nello scovare dei punti di riferimento.
La norma, ovviamente, non è stata costruita soltanto per regolare i contratti di mutuo.
Il “fatto”, nelle operazioni di finanziamento, è costituito intanto da quelle dinamiche che classificheremmo come fasi precontrattuali, nelle quali possono emergere delle forzature del soggetto economicamente in posizione di vantaggio.
Nulla che si possa etichettare o racchiudere in modello, sia pure di ampio respiro.
2. La modalità concreta e fattuale in un contratto di mutuo è data, innanzitutto, dal contratto stesso.
E’ proprio nel testo negoziale che si possono ricercare abusi capaci di essere catalogati.
In tal senso si annotano la sentenza della Pretura Roma del 24/01/80, che accusa l’usura nell’eccesso di garanzia del credito, e quella della Cassazione Civile n. 4251/92 nella quale in astratto si ipotizza una usura derivante da una smodata (e non riducibile) clausola penale per l’inadempimento.
Questo un inciso degli ermellini:
“in linea di principio, ogni convenzione, che per i vantaggi apprestati ad una delle parti e nel ricorso delle altre condizioni previste all’art. 644 cod. pen. costituisce fatto commissivo di un reato d’usura, è perciò invalida (cfr Cass. 24.3.1962 n. 594), sicché è giuridicamente corretta, in linea di principio, la tesi, predicata con riguardo ad una convenzione ed al complesso dei vantaggi da essa conseguibili anche diversi dagli interessi, che essa sia invalida perché usuraria.”
Il Tribunale di Frosinone (provvedimento del 05/02/13 Sez. del giudice per le indagini preliminari) ha giudicato artifizio integrante “modalità concreta” ex art. 644 c.p. terzo comma secondo periodo, la previsione di un meccanismo contrattuale capace di condurre i saggi a “sfiorare” sempre le soglie usurarie senza mai oltrepassarle.
3. Nel solco del metodo tracciato dalla riferita giurisprudenza è forse possibile evidenziare alcune clausole che nei contratti di mutuo ricorrono sovente e che sono atte a sbilanciare, a favore del mutuante, il complessivo assetto di interessi, soprattutto quando il contratto le contenga tutte contemporaneamente.
Si tratta di clausole facenti parte delle condizioni generali di contratto, e quindi ripetute in forma pressoché identica nei rapporti con la clientela.
IMPOSTE E TASSE
Soprattutto nei mutui più datati un patto consente alla banca di trasferire al cliente imposizioni fiscali che dovessero anche successivamente alla conclusione del contratto colpire i suoi proventi.
Il testo (subisce varianti, ma gli effetti non mutano):
La Banca mutuante dovrà essere rimborsata dalla parte mutuataria……..di ogni imposta, tassa, addizionale e tributo di qualsiasi specie che venissero a colpire, ora o in futuro, l’interesse, anche se di mora, il capitale mutuato o entrambi, senza obbligo per la Banca mutuante di contestare la legittimità di tali oneri, restando inteso che la stessa Banca non debba comunque sopportare oneri fiscali maggiori di quelli attuali.
Nel caso che la rivalsa ai predetti tributi trovasse impedimento in disposizione di legge, la Banca mutuante avrà facoltà di maggiorare, in misura corrispondente all’aggravio subito, il tasso di interesse e qualora anche tale patto non potesse trovare applicazione, la stessa potrà senza alcun riguardo al termine convenuto, risolvere il contratto di mutuo.
IL RIMBORSO DELLE SPESE IRRIPETIBILI
Sono diverse le clausole, anche contenute nello stesso contratto, che consentono alla banca di recuperare le spese definite “irripetibili”, giudiziali e stragiudiziali.
Ad avviso di chi scrive l’unica lettura dei patti in questione è la seguente: se a seguito di un contenzioso inerente il mutuo il giudice avesse compensato le spese o se le stragiudiziali non fossero ripetibili in base ai principi giurisprudenziali vigenti (il creditore ha diritto di vedersi rimborsare le spese stragiudiziali sopportate per recuperare il credito soltanto se l’onere si è reso necessario a causa del comportamento del debitore), la banca potrebbe comunque ottenerne il rimborso e, si badi bene, senza limiti quantitativi.
ASSICURAZIONE
E’ fatto obbligo al mutuatario di assicurare i beni ipotecati presso Assicurazione di gradimento della banca.
In primo luogo la clausola fornisce la possibilità alla banca di favorire una Compagnia del proprio Gruppo.
Il problema non è solo l’incremento dei profitti del sodalizio cui la banca appartiene (il DL n. 1 del 24/01/12 art. 28 per determinate operazioni ha imposto alle banche di proporre preventivi di assicurazioni non appartenenti al proprio gruppo, perché le stesse lucravano in modo eccessivo sulle polizze), ma l’ impedire al mutuatario di ricercare sul mercato la soluzione più economica e più vantaggiosa dal punto di vista delle condizioni contrattuali (il premio non è l’unico elemento da valutare al momento di sottoscrivere un contratto di assicurazione).
Si tratta di clausole lecite (lo “scarico” degli oneri fiscali sul cliente è stato approvato dalla giurisprudenza nell’ambito del rispetto della libertà contrattuale), ma che certamente attestano uno sbilanciamento negoziale a chiaro vantaggio del mutuante, da valorizzare unitamente alle difficoltà economiche del mutuatario ed al superamento dei tassi medi di mercato.
4. La vicenda della sommatoria (e del suo ormai acclarato divieto) tra interessi moratori e corrispettivi nella ricostruzione del Taeg è nota.
Si è osservato che nell’inadempimento del debitore il moratorio sostituisce il corrispettivo (ma a breve vedremo che il ragionamento va approfondito) e quindi non può essere sommato ad esso.
Una decisione del Tribunale di Parma (20/03/13 nel Fallimento n. 26/13) sostiene che i moratori non dovrebbero sommarsi ai corrispettivi quando il contratto prevede sostituzione tra corrispettivi e moratori mentre “se il contratto assume che il tasso moratorio si applica in aggiunta a quello corrispettivo, allora i due tassi andranno valutati congiuntamente ed il risultato andrà confrontato con i limiti normativamente imposti”.
Ora, nella quasi totalità dei contratti di mutuo il testo detta che i moratori sono conteggiati sulla intera rata non pagata, che si compone di capitale ed interesse corrispettivo.
Il Tribunale di Parma conclude per l’ammissibilità della sommatoria.
La presa di posizione non ha avuto proseliti.
Non di meno è lecito ed opportuno interrogarsi sul vantaggio di cui gode la banca in ragione della suddetta modalità di calcolo.
Deve essere subito precisato che la legittimità dell’effetto anatocistico non è in discussione.
E questo non perché, come da alcuni sostenuto, una volta scaduta la rata e restando essa inevasa la quota interessi “diventa capitale” (si tratta di affermazione ormai superata per la smentita della giurisprudenza, per tutte Cass. 2593/03 e 11400/14).
L’interesse scaduto non perde la sua natura di interesse, ma la normativa consente che anche sull’ interesse corrispettivo possa essere conteggiato il moratorio.
Attualmente, per quanto qui di rilievo (nel senso della normativa dirimente nella maggior parte dei contenziosi correnti) la materia è regolata dalla delibera del CICR del 09/02/00 che informa sia i mutui ordinari sia i mutui fondiari.
Per brevità si omettono dall’analisi la portata (controversa) del nuovo art. 120 del TUB, applicabile dopo il 01/01/14 con efficacia ex nunc ai rapporti in corso ed ai nuovi contratti, e la ricognizione legislativa sui mutui fondiari con il riferimento all’art. 38 del Regio Decreto 16 luglio 1905 n. 646 ed al TUB, poiché dalla entrata in vigore della delibera del CICR non vi è più alcuna distinzione.
Quanto ai mutui bancari ordinari stipulati prima della entrata in vigore della delibera, l’anatocismo in questione non è permesso.
DELIBERA CICR 09/02/00
Articolo 3 comma 1della delibera – Finanziamenti con piano di rimborso rateale
“Nelle operazioni di finanziamento nelle quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga con il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica.”
E’ dunque concessa la facoltà di pattuire l’anatocismo (interesse moratorio sulla intera rata scaduta, composta da quota capitale e quota interesse), non si tratta di un effetto imposto dalla legge.
Il punto focale è proprio questo.
Conteggiare i moratori anche sulla quota di tasso corrispettivo e non solo sul capitale non è “NECESSARIO” o “DOVUTO”.
La forma contrattuale prescelta è vantaggiosa per la banca e punitiva per il cliente.
Questo tipo di clausola è lecita, se non lo fosse la sua nullità renderebbe inutile la discussione.
Ma poiché sarebbe possibile congegnare il contratto in modo da ottenere la sostituzione dei moratori ai corrispettivi senza effetto anatocistico (per inciso, il piano di ammortamento alla francese non è l’unico sistema di estrinsecazione delle obbligazioni restitutorie del contratto di mutuo), la clausola può e deve essere ascritta nel novero di quei patti che portano l’assetto del contratto a favore del mutuante.
E nella valutazione globale della conformazione del negozio giuridico il patto concorre ad integrare quelle “concrete modalità del fatto” che spingono il mutuo in territorio usurario (alla presenza degli altri elementi previsti dalla legge).
In sintesi:
dinnanzi ad un contratto stipulato tra chi è in difficoltà economica ed accetta tassi superiori alla media, così come ad essere decisiva può essere l’eccessiva garanzia del credito o la penale per l’inadempimento non riducibile e sovrabbondante, altrettanto rilevante ai fini del giudizio sul carattere usurario del negozio risulta la presenza di clausole formalmente lecite, ma che nel loro complesso attestano il vulnus del sinallagma contrattuale a danno del cliente.
Il presente contesto non permette di dilungarsi ulteriormente su ogni possibile segmento contrattuale che nasconda uno sbilanciamento in favore del mutuante, costituendo lo scritto solo uno spunto di riflessione ed un’ipotesi metodologica per affrontare la problematica in questione.
NOTA DEL REDATTORE
Articolo del 2015 pubblicato sulla rivista giuridica online Persona e danno a cura di Paolo Cendon.
Si segnala sentenza numero 1906/17 del Tribunale di Milano secondo la quale gli interessi moratori, pur non dovendo essere computati nel Teg da comparare con la soglia usuraria per il rilievo dell’usura oggettiva, debbono essere valutati in eventuale indagine sull’usura soggettiva.