Utilizzo diverso da parte di un solo condomino della cosa comune Cassazione civile , sez. II, sentenza 05.10.2009 n° 21256
Il caso
I coniugi X erano proprietari di un locale
destinato ad autorimessa sito nell’immobile al quale si accedeva dalla
via, attraverso un cancello che dava su di uno spazio comune,
antistante all’androne condominiale; che avevano iniziato a servirsi di
detto locale per parcheggiare la loro autovettura, incontrando peraltro
l’opposizione dell’amministratore del condominio, che aveva preteso la
restituzione delle chiavi del cancello sul rilievo che essi attori non
avevano diritto di parcheggiare.
Il Pretore, adito in via
possessoria, aveva negato il richiesto interdetto possessorio, per
assenza del periculum, riconoscendo peraltro il loro diritto a servirsi
dell’area condominiale secondo la sua destinazione ai sensi dell’art.
1102 cod. civ.; che l’esercizio del loro diritto non ledeva né
comprimeva il diritto degli altri condomini, giacché l’accesso
richiedeva l’impegno del passaggio per un lasso di tempo appena
apprezzabile; che a causa dell’opposizione del Condominio avevano
subito danni, quantificati in L. 43.000.000, tenuto conto delle tariffe
di parcheggio applicate in zona.
Gli attori convenivano quindi
dinnanzi al Tribunale il Condomino per ivi sentir dichiarare il diritto
di essi attori, in quanto proprietari, a servirsi, ex art. 1102 cod.
civ., dell’area comune condominiale ubicata innanzi al locale di loro
proprietà, accedendo alla stessa con l’automobile dal cancello e per
sentire ordinare al medesimo Condominio di non frapporre ostacoli a
tale transito, con condanna al risarcimento dei danni.
Si
costituiva il Condominio, contestando la domanda e deducendo che il
box-garage degli attori faceva parte in origine di un più ampio locale
destinato a tipografia, che aveva diritto di accesso anche con veicoli
da altra via, mentre aveva diritto di accesso solo pedonale dallo
spazio condominiale; circostanza, questa, risultante sia dagli atti di
vendita del locale ai coniugi, sia da quello di vendita al loro dante
causa.
Escluso il diritto di passo carraio, deduceva il
condominio, non poteva ammettersene l’esercizio ex art. 1102 cod. civ.,
posto che il piccolo locale condominiale era sempre stato utilizzato
come area di accesso e transito solo pedonale, sicché la pretesa degli
attori avrebbe alterato quella destinazione e sarebbe stata comunque
incompatibile con l’uso promiscuo del cortile, risultando posta in
pericolo l’incolumità fisica dei pedoni e impedito agli altri condomini
il pari uso.
L’adito Tribunale da ragione ai coniugi, e con
sentenza del 16 febbraio 2001, accoglieva la domanda ex art. 1102 cod.
civ., rigettava quella risarcitoria e compensava per un terzo le spese
del giudizio.
Proponeva appello il Condominio, cui resistevano gli attori.
Con sentenza depositata il 16 giugno 2004, la Corte d’appello riformava la sentenza di primo grado dando torto ai coniugi.
Richiamati
i principi in tema di uso della cosa comune e di rapporto tra l’uso di
alcuni e il concorrente uso da parte degli altri condomini, la Corte
d’appello riteneva che il Tribunale, nell’affermare che l’uso del
cortile per il transito dei veicoli che dovevano accedere al box-garage
degli appellati non alterasse l’equilibrio tra le utilizzazioni
concorrenti del bene comune, e corrispondesse invece alla utilizzazione
anche potenziale da parte degli altri condomini, avesse fatto
applicazione di un principio corretto ad una fattispecie diversa.
Dalla
descrizione dei luoghi allegata alla relazione del consulente tecnico
della parte appellata emergeva, invero, che il preteso cortile
condominiale che avrebbe dovuto essere utilizzato per il transito
veicolare, altro non era che un viottolo chiuso su un lato, largo circa
mt. 2,85, da un cancello, la cui larghezza massima, all’altezza
dell’androne del fabbricato, era di mt. 4,10.
Emergeva altresì
che su tale viottolo non vi erano altre aperture se non quella
dell’androne del fabbricato, all’incirca alla metà del percorso.
Dalle
fotografie allegate alla relazione, pur se relative all’ingresso di
altri fabbricati ubicati nella medesima via, inoltre, si rilevava che
l’ingresso era esclusivamente pedonale, in quanto posto al di sopra del
marciapiede, e presentava anche uno scalino all’altezza del cancello.
Da questi elementi, la Corte d’appello traeva il convincimento che la
destinazione e l’uso del viottolo – cortile era sempre stata quella
pedonale, sin dalla costituzione del condominio nel 1962 e riteneva
quindi infondato l’assunto degli appellati secondo cui non sarebbe
risultato provato che l’area era destinata ad esclusivo uso pedonale:
la circostanza, non contestata in primo grado, doveva infatti ritenersi
pacifica.
Inoltre, la conformazione del viottolo-cortile
(larghezza, lunghezza, accessi) dimostrava che lo stesso era sempre
stato utilizzato come via d’accesso esclusivamente pedonale.
Le
dimensioni del cortile, infatti, non consentirebbero un sicuro e
contemporaneo transito pedonale e veicolare, sicché l’uno dovrebbe
escludere l’altro e quindi quello veicolare determinerebbe una
pregiudizievole invadenza nell’ambito dei coesistenti diritti degli
altri condomini di servirsi del viottolo per accedere (a piedi e anche
con veicoli per il carico e lo scarico di beni) allo stabile
condominiale.
In conclusione, la destinazione del cortile al
transito esclusivamente pedonale non poteva ritenersi compatibile con
l’apertura di un accesso per gli automezzi da parte dei proprietari del
vano terraneo, in quanto l’ingresso e la sosta dei veicoli nell’area,
impedendo o intralciando l’uso della stessa agli altri condomini,
esorbiterebbe dall’ambito di un uso più intenso e più esteso della cosa
comune, per rientrare in quello delle innovazioni vietate ai sensi
dell’art. 1120 cod. civ..
La questione finisce in cassazione.
La normativa Art. 1102. Uso della cosa comune. Ciascun Il Art. 1120. Innovazioni. I Sono |
La sentenza è un occasione per ribadire alcuni principi consoldiati in materia di uso della cosa comune.
i
ricorrenti infatti usavano un locale comune del condominio, utilizzato
perlopiù per il transito pedonale, per accedere al loro garage di
proprieta’ esclusiva.
L’amministratore del concominio vietava
loro l’accesso con l’auto, sul presupposto che il passaggio del veicolo
impediva l’uso agli altri condomini, che lo utilizzavano non solo per
il transito pedonale ma occasionalmente anche per il carico e lo
scarico delle merci con mezzi meccanici.
In pratica solo i
ricorrenti utilizzavano questo spazio per accedere alla loro
autorimessa, mentre tutti gli altri condomini lo utilizzavano per fini
diversi.
Ci si domanda quindi se un uso diverso della cosa
comune da parte di un condomino vada contro i principi generali in
meteria di uso della cosa comune.
Decisione
Già in
passato la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che “il
partecipante alla comunione può usare della cosa comune per un suo fine
particolare, con la conseguente possibilità di ritrarre dal bene una
utilità specifica aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate
dagli altri, con il limite di non alterare la consistenza e la destinazione di esso, o di non impedire l’altrui pari uso.
La nozione di pari uso
della, cosa comune cui fa riferimento l’art. 1102 c.c. non va intesa
nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita
dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre
dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa
sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti
condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede
un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i
partecipanti alla comunione. Ne consegue che qualora sia prevedibile
che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della
cosa comune la modifica apportata alla stessa dal condomino deve
ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista
la massima espansione dell’uso il limite al godimento di ciascuno dei
condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono
impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro
titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto”
(Cass., n. 5753 del 2007; Cass., n. 1499 del 1998).
Invero,
“qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non
faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla
stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una
materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso il limite al
godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i
quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia
ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il
pari uso cui hanno diritto” (Cass., n. 8808 del 2003).
Al
contrario, è illegittimo l’uso esclusivo della cosa se esso impedisce
l’uso agli altri; anche in passato la Corte ha stabilito che “lo
sfruttamento esclusivo del bene da parte del singolo che ne impedisca
la simultanea fruizione degli altri, non è riconducibile alla facoltà
di ciascun condomino di trarre dal bene comune la più intesa
utilizzazione, ma ne integra un uso illegittimo in quanto il principio
di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali
richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di
tutti i partecipanti alla comunione” (Cass., n. 17208 del 2008).
In
sostanza, “l’uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve
essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che
in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche
della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente
ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare” (Cass., n. 4617 del 2007)
Nel quadro di tali principi, ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato e che meriti quindi accoglimento.
La
Corte d’appello ha ritenuto che, nel caso di specie, l’uso della cosa
comune richiesto dai ricorrenti sarebbe incompatibile con il
concorrente uso della medesima cosa comune da parte degli altri
condomini.
Ora, se un simile uso della cosa comune è stato
ipotizzato dalla Corte d’appello a favore dei condomini, che potrebbero
accedere all’androne condominiale non solo a piedi ma anche con
autoveicoli per effettuare operazioni di carico e di scarico, non si
vede perché l’uso analogo da parte dei ricorrenti sarebbe lesivo del
pari uso della cosa comune e dell’art. 1102 cod. civ..
La
contraddizione della motivazione della sentenza impugnata è pertanto
evidente. Paradossalmente, nella ricostruzione della Corte d’appello
solo ai ricorrenti, proprietari di un locale destinato a rimessa
sarebbe precluso l’accesso veicolare, laddove agli altri condomini
sarebbe possibile accedere al solo androne con autoveicoli per
effettuare il carico e lo scarico di beni.
Né possono essere
condivise le osservazioni del Condominio controricorrente, secondo il
quale l’uso della cosa comune preteso dai ricorrenti determinerebbe la
trasformazione dell’uso del bene comune in uso esclusivo dello stesso
in favore dei ricorrenti. Infatti, posto che il transito veicolare è
ipotizzato dalla stessa Corte d’appello come possibile utilizzo da
parte degli altri condomini, sarebbe contraddittorio ritenere, come la
Corte d’appello ha fatto e come il Condominio controricorrente
sostiene, che il transito veicolare muterebbe la destinazione della
cosa comune ove effettuato dai ricorrenti per condurre i propri
autoveicoli nella rimessa di proprietà esclusiva.
È appena il
caso di osservare poi che, ove si ammettesse la possibilità, che la
stessa Corte d’appello ipotizza, di un transito veicolare per il carico
e lo scarico di beni da parte degli altri condomini, diventa
completamente irrilevante l’argomento della incompatibilità di detto
transito con la incolumità dei pedoni.
Meritevole di censura
appare altresì l’affermazione della Corte d’appello secondo cui la
destinazione della cosa comune al transito anche veicolare in favore
dei ricorrenti determinerebbe una innovazione vietata ai sensi dell’art. 1120 cod. civ..
In
proposito, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza d questa
Corte, “in tema di condominio negli edifici, la distinzione tra
modifica ed innovazione si ricollega all’entità e qualità
dell’incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione
della cosa comune, nel senso che per innovazione in senso tecnico –
giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della
cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri
l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le
modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il
godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la
destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei
condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto (Cass.,
n. 11936 del 1999; Cass., n. 15460 del 2002).
In relazione a
tali profili, che investono un punto decisivo della controversia, il
ricorso va quindi accolto, con conseguente cassazione della sentenza
impugnata e rinvio a diversa sezione della Corte d’appello di Napoli,
la quale provvederà a nuovo esame dell’appello proposto dal Condominio,
alla luce degli enunciati principi.
In sintesi, l’uso
particolare di un condomino, relativamente alla cosa comune, è
permesso, se non impedisce che la utilizzino anche gli altri, sia pure
con modalità diverse.