Versamento bancario uguale ricavo occulto: la presunzione scatta al di là del modo in cui il Fisco ha acquisito i dati
Non importa in che modo (lecito) il Fisco abbia acquisito i dati
bancari del contribuente: la presunzione “versamento o prelevamento
uguale ricavo in nero” opera comunque. E ciò anche se le notizie sul
conto corrente dell’amministratore della società “incriminata” vengono
da un’indagine svolta dalla Guardia di finanza con poteri di polizia
giudiziaria. Lo precisa la sentenza 25142/09, emessa dalla sezione
tributaria della Cassazione. Le Fiamme gialle hanno l’obbligo di
collaborare con le Entrate e, dunque, di trasmettere le notizie
d’interesse del Fisco (dopo l’ok del giudice penale). L’ufficio, a sua
volta, è tenuto a esaminare i dati che pure non ha acquisito
direttamente. Insomma: va escluso che l’amministrazione finanziaria
debba richiedere copia dei conti correnti alla banca quando ne è
legittimamente in possesso grazie all’invio delle informazioni
effettuato dalla polizia tributaria. La presunzione legale in favore
del Fisco opera senza bisogno altri riscontri: da un fatto noto, il
versamento o il prelevamento bancario, si risale a un fatto ignoto,
l’occultamento del reddito. Non conta la procedura seguita per la
raccolta dei dati (purché sia legittima): l’amministrazione è sempre
esonerata dall’onere della prova. Se il contribuente non riesce a
“discolparsi”, scattano la rettifica del reddito e il recupero a
tassazione. Il previo contraddittorio con il cittadino resta una
facoltà e non un obbligo per le Entrate. Resta da capire che cosa
succede quando il conto bancario “attenzionato” è intestato
all’amministratore della società e non all’azienda: bastano le
presunzioni semplici – concludono gli “ermellini” – per accertare che
le operazioni rilevate si riferiscono in realtà all’impresa e, dunque,
per rendere le risultanze utilizzabili dal Fisco.