Vesuvio e Solfatara, nuovo allarme «Troppi rischi, piano fuga inapplicato»
Stretta nella cintura di fuoco del
Vesuvio, dei Campi Flegrei, dell’Epomeo, storicamente attraversata dai
più forti terremoti dell’Appennino meridionale, quasi dappertutto
segnata dai guasti di un territorio fragile e poco curato, la provincia
di Napoli è una delle zone a più alto rischio ambientale del mondo –
come scrive oggi il Mattino in edicola. Ben lo sapevano gli
abitanti del passato, che costruivano poco e bene case e insediamenti
produttivi. Non se ne curano i contemporanei, che ormai edificano
intere città a poche centinaia di metri dai crateri vulcanici, deviano
fiumi e torrenti per far posto a strade e piazze, bruciano boschi e
devastano piante per agevolare l’avanzata del cemento selvaggio.
L’allarme è stato lanciato dall’Istituto di geofisica. I ricercatori
hanno fatto notare che l’area più a rischio è quella del Vesuvio e dei
Campi Flegrei: quei vulcani non sono spenti e nell’area esistono troppi
insediamenti.
Sui problemi della difesa del suolo si gioca il futuro di Napoli e
della Campania, lo sanno tutti. Ma non tutte le comunità locali
sembrano attrezzate per fronteggiare i colpi di una possibile,
improvvisa emergenza naturale.
Nel 2003 fu varato dalla Regione un piano di profonda trasformazione
dell’area vesuviana, la più esposta al rischio vulcanico, con i suoi
seicentomila abitanti condensati nei diciotto Comuni più vicini al
cratere. Filosofia dell’operazione – apprezzata dagli studiosi di mezzo
mondo – doveva essere lo snellimento di duecentomila persone, nel giro
di quattro o cinque anni, attraverso incentivi di esodo (trentamila
euro di bonus a famiglia) e la riconversione del tessuto industriale,
valorizzando le imprese del turismo della ricerca scientifica, delle
attività culturali.
Tutto inutile: pochi hanno creduto nel valore sottinteso dai
provvedimenti, pochissime amministrazioni locali si sono impegnate a
realizzare le indicazioni della comunità scientifica. Risultato: meno
di diecimila persone, spontaneamente, hanno lasciato la zona rossa,
nella quale si continua a costruire in maniera più o meno irrazionale.