VIOLATI I PRINCIPÌ SANCITI DALLO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE IN NOME DEL… FISCO E DELLA “RAGIONE DI STATO”
di
Avv. Angelo Pisani[1]
Dott. Angelo De Lucia[2]
Si approva a camere sciolte l’ennesimo “decreto milleproroghe”. Ma questa volta, in sede di conversione del D.L. n. 248/07 – ultimo atto del governo prodi e della maggioranza parlamentare di centro-sinistra – con un abile quanto sconsiderato colpo di mano, nel silenzio delle televisioni e dei giornali, è stata introdotta un’ inspiegabile ed abnorme “sanatoria” a favore di Equitalia S.p.A. nell’evidente e disperato tentativo di coprire le responsabilità dell’agente della riscossione, sovvertendo però, in questo modo, i principì generali dell’ordinamento tributario ed i diritti fondamentali del contribuente codificati nella L. 212/00.
Il tutto in totale spregio delle principali norme dello Statuto del Contribuente, che, invece, richiedono norme chiare e non contraddittorie, divieto di proroga dei termini per gli accertamenti degli uffici fiscali e locali, tutela dell’affidamento del cittadino-contribuente, divieto della retroattività delle norme e dell’utilizzo delle norme di interpretazione autentica, se non in casi eccezionali, tutela del diritto di difesa del cittadino-contribuente.
In tale confusione generale e marasma normativo, il primo a non rispettare le regole del gioco, nonostante i vari richiami della Corte Costituzionale[3] e della Corte di Cassazione, si è rivelato essere proprio il legislatore, che – per favorire il fisco- ha clamorosamente e paradossalmente violato i precetti dello Statuto dei Diritti del Contribuente pilastro e baluardo del sistema fiscale, introdotto allo scopo di contenere la discrezionalità dell’amministrazione finanziaria, e di cui Equitalia Polis, quale Agente preposto alla Riscossione, è vincolato all’osservanza delle disposizioni normative in esso contenute (art.
La legge di conversione, infatti, ha introdotto una norma inquietante, aberrante ed assurda al comma 4 ter dell’articolo 36:
“La causa di nullità di una Cartella di pagamento priva dell’indicazione del responsabile del procedimento viene riconosciuta solo dal 1 giugno
Il citato comma 4-ter si risolve in un attentato allo Statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212/2000) introdotto allo scopo di stabilire una serie di principì generali, cui devono attenersi il legislatore, nell’esercizio del suo potere normativo e l’amministrazione finanziaria, nell’esercizio dell’attività amministrativa – discrezionale : principì, quelli citati, volti a tutelare il contribuente nei confronti di censurabili norme tributarie e di arbitrari comportamenti degli uffici finanziari.
Considerazioni di carattere generale sullo Statuto dei diritti del Contribuente[4]
Nel dare attuazione a talune disposizioni costituzionali (artt. 3, 23, 53, 97, Cos.), lo Statuto sembra atteggiarsi come la legge fiscale generale, destinata a restare stabile nel tempo e a condizionare l’intera normativa tributaria, anche futura. Stabilisce, infatti, l’art. 1, primo comma, l. 212, cit., che le disposizioni successive della stessa legge “possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali ”. Lo stesso articolo, ai commi terzo e quarto comma, aggiunge poi che le regioni a statuto ordinario, le regioni a statuto speciale e gli enti locali provvedono, rispettivamente, a regolare le materie disciplinate dalla presente legge e ad adeguare i propri statuti e atti normativi ai principì dettati dello Statuto.
La previsione dell’immodificabilità e dell’inderogabilità delle norme dello Statuto, se non attraverso espresse previsioni normative contenute in leggi ordinarie[5], e l’obbligo delle regioni e degli enti locali di conformarvi il proprio ordinamento interno sollecitano l’interrogativo circa la sua natura giuridica: occorre, infatti, chiedersi se lo Statuto del contribuente partecipi della natura costituzionale delle disposizioni di cui è proiezione[6] con la conseguenza di considerarlo prevalente rispetto a qualunque altra contraria disposizione di rango legislativo precedente o successiva (salvo deroga espressa con legge ordinaria)[7], sia statale che regionale. Da un’altra prospettiva, la genericità di molte disposizioni e la mancata statuizione di specifiche reazioni dell’ordinamento nel caso di violazione delle stesse inducono a dubitare dell’efficacia dello Statuto il quale sembra ridursi ad un documento avente carattere meramente programmatico [8], (quasi come un manifesto politico), ma inidoneo a vincolare i soggetti (attivi e passivi) del rapporto tributario. Analizzando, dapprima, la questione dell’efficacia dello Statuto, possiamo immaginare diverse soluzioni: lo Statuto del contribuente è : a) una legge di rango costituzionale o paracostituzionale; b) una legge rinforzata c) una legge ordinaria precettiva; d) una legge ordinaria programmatica. La questione appare ancora più complessa in considerazione della previsione della comminatoria della nullità degli atti emessi in violazione dello Statuto solo da parte di alcuni degli articoli della L. 212/2000. Tra questi, si vedano, in particolare, l’art. 6, ultimo comma, in base al quale sono nulli i provvedimenti emanati in violazione dell’obbligo di far precedere l’iscrizione a ruolo, derivante dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, dall’invito rivolto al contribuente a fornire i chiarimenti necessari, e l’art. 11, secondo comma, per effetto del quale sono nulli gli atti a contenuto impositivo o sanzionatorio emessi in difformità dalla risposta , anche desunta in caso di silenzio, all’istanza di interpello.
Nonostante siano trascorsi più di quattro anni dalla prima approvazione, e molti di più dal formarsi di una vaga idea dello stesso, lo Statuto del contribuente non ha ancora cessato di destare qualche perplessità soprattutto in ordine alla natura ed alle finalità che lo stesso si prefigge di ottenere.
Parte della dottrina rileva, infatti, come sia sostanzialmente pleonastica la formulazione di una legge dello Stato che enumeri, in modo didascalico e puntuale, i principì cui deve attenersi l’Amministrazione finanziaria nei suoi rapporti con l’universo mondo dei contribuenti, principì che, sempre a parere di tale dottrina, dovrebbero già essere patrimonio di ogni operatore tributario; da tali premesse ne discenderebbe l’inutilità giuridica di una simile impresa.
Gli autori delle tesi sopra richiamate si spingono oltre, arrivando a considerare che, se proprio si avvertiva la necessità di stigmatizzare i principì del buon amministratore fiscale, l’operazione poteva essere conclusa con l’approvazione di una sorta di regolamento o comunque di un atto giuridico avente una forma non necessariamente di legge.
Nel primo caso si rileva come solo una legge avrebbe potuto dare quella precipua funzione giuridica di “massima regolamentazione” e di riferimento ad un complesso organico di norme rappresentato dallo Statuto del contribuente; in tal modo ogni comportamento difforme da quelli prescritti dallo stesso Statuto diviene contra legem con tutte le conseguenze che i nostri principi generali del diritto, nonché quelli amministrativi e fiscali preesistenti, fanno discendere da tale qualificazione.
In altri termini, ad esempio, solo stabilendo per legge che la permanenza dei verificatori nella sede di un azienda sottoposta ad ispezione non debba superare i trenta giorni (al massimo sessanta in caso di interventi particolarmente complessi) renderà possibile per il contribuente far valere in modo giuridicamente efficace l’eventuale comportamento difforme dei operatori appartenenti all’Amministrazione finanziaria; se tale principio, di contro, fosse contenuto in un atto avente un valore minore a quello attribuito alla legge dal nostro ordinamento, la tutela esperibile dal contribuente risulterebbe fortemente compressa.
Nel secondo caso, pur condividendo un comprensibile senso di sconforto di fronte alla necessità di redigere una serie di principi che dovrebbero nascere con il nascere del funzionario dell’Amministrazione finanziaria, proprio perché la strada dei rapporti tra Fisco e contribuente è lastricata di casi in cui i più elementari principi di buona amministrazione sono stati sistematicamente disattesi, l’elencazione dettagliata degli stessi in una legge dello Stato può fungere da efficace “promemoria” per chi è chiamato ad applicare e far rispettare le leggi tributarie; comportamenti contrari a quelli dettati dallo Statuto, oltre che causa di illegittimità degli atti emanati, possono comportare obiettivamente una responsabilità disciplinare da parte dell’agente facente parte dell’Amministrazione finanziaria.
Lo statuto del contribuente nel sistema delle fonti interne e profilo istituzionale
Procedendo con ordine, occorre evidenziare che la legge 212 del 2000 è stata approvata dal Parlamento secondo il procedimento ordinario per la formazione delle leggi: ne consegue che essa, nonostante il richiamo ad alcune disposizioni costituzionali e il tenore dei principi che contiene, non assurge al rango costituzionale: lo Statuto si presenta, quindi, con la stessa forza delle norme di cui intende regolare la produzione con il rischio che possa venire derogato da altre fonti primarie in base al principio che la legge posteriore abroga quella precedente[9].
Probabilmente, l’utilizzazione del procedimento di revisione costituzionale, adoperato di recente per l’introduzione delle norme del “giusto processo” (art. 111 della Costituzione) e per il titolo V della Costituzione, avrebbe consentito di fugare qualunque dubbio circa la “forza” dello Statuto e il rapporto con le altre fonti dell’ordinamento; peraltro, alcune norme dello Statuto , quale quelle riguardanti la produzione delle norme tributarie (si pensi a quelle sull’utilizzo del decreto legge o sull’efficacia nel tempo della norma tributaria), avrebbero potuto trovare adeguata e migliore collocazione nella Costituzione (artt. 77, 23, ecc.)[10] senza considerare che richiedere una maggioranza qualificata o altre garanzie per modificare o derogare questa legge avrebbe da un lato assicurato la stabilità e la certezza del diritto e dall’altro richiesto una maggiore riflessione del legislatore, che troppo frequentemente si è occupato della materia con superficialità.
D’altronde, come dimostrano le esperienze straniere, taluni principi corrispondenti a quelli dello Statuto del contribuente sono espressi da norme costituzionali in molti Stati europei [11].
Probabilmente, la rinuncia ad intraprendere la strada della revisione costituzionale è dipesa dalla preoccupazione di non raggiungere, in sede di approvazione, le maggioranze qualificate richieste dall’art. 138 della Costituzione e da quella di evitare in ogni caso il referendum costituzionale previsto dalla stessa disposizione quando, entro tre mesi dalla data di pubblicazione della legge, ne abbiano fatto domanda un/quinto dei membri di una delle Camere, cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali.
Esclusa la natura di legge costituzionale dello Statuto, la dottrina è discordante sul riconoscimento di legge “rinforzata”[12]; è noto, infatti, che, secondo l’insegnamento costante della dottrina, una legge può definirsi “rinforzata” quando trae maggiore forza, oltre che dal contenuto delle disposizioni che reca, da un quid pluris, rappresentato dalla peculiarità del procedimento di approvazione all’interno del quale si inseriscono ulteriori fasi rispetto a quello ordinario[13]. A diverse conclusioni può giungersi per la previsione dei principi di fissità e della deroga espressa, posti dall’art. 1, cit., almeno secondo quella parte della dottrina[14] che individua nelle intenzioni del legislatore la volontà di attribuire alle disposizioni della L.212/2000 il valore di “legge rinforzata”.
Ne deriva che le eventuali violazioni delle regole della fissità o della deroga o abrogazione espressa poste con legge ordinaria non possono essere denunciate dinanzi alla Corte Costituzionale non essendo configurabile un sindacato indiretto di costituzionalità. Ciò , tuttavia, non significa che qualunque deroga o modificazione dello Statuto, ancorché disposta con legge successiva, sia consentita, ben potendo dare luogo a violazione “diretta” di norme costituzionali, siano o meno richiamate dall’art. 1, legge 212/2000 [15]. In controtendenza è, invece, la dottrina che sostiene che la violazione da parte del legislatore ordinario di una direttiva contenuta nello Statuto del contribuente non può certo equipararsi ad una lesione diretta dei principi di cui agli art 3, 23, 53 e 97 cost. per il sol fatto di essere richiamati nell’arti 1 del medesimo[16].
Più articolata è la posizione della parte della dottrina che tende a distinguere il valore delle norme dello Statuto a seconda del destinatario [17]: le norme rivolte al legislatore[18] assolverebbero alla funzione meramente direttiva ed orientativa della futura normazione[19]; quelle rivolte all’Amministrazione o alla magistratura tributaria avrebbero una valore precettivo dovendo trovare necessaria applicazione. Tale tesi appare condivisibile solo in parte, non potendosi in alcun modo accettare l’idea della non vincolatività delle disposizioni contenute nella prima parte dello Statuto, ancorché rivolte al legislatore[20].
Di altro avviso è la dottrina che sostiene la natura “compromissoria” dello Statuto ritenendo che tale strumento sia rivolto più a disciplinare in modo diverso la gestione del tributo, cercando la collaborazione del soggetto passivo, piuttosto che attribuire diritti al contribuente.[21] Altre critiche sottolineano la mancanza di sanzioni per l’inosservanza delle norme da parte del legislatore[22] (è infatti prevista la nullità per gli atti dell’Amministrazione finanziaria che non rispettano lo Statuto, ma non per le infrazioni del legislatore) e di chi nota l’assenza di riferimenti alla tutela giurisdizionale del contribuente, ovvero all’articolo 111 della Carta costituzionale sul giusto processo[23]. Ancora si è notata l’assenza di riferimenti all’articolo 24 della Costituzione sul diritto alla difesa del cittadino, che così avrebbe avuto una definitiva consacrazione anche nel diritto tributario. Infatti nella carta sono presenti diverse disposizioni che indirettamente fanno riferimento a questa norma, ma manca un riferimento esplicito nell’articolo 1 dello Statuto, che elenca gli articoli della Costituzione che lo Statuto stesso si propone di attuare[24].
Fatta eccezione di alcune disposizioni, la cui applicazione è subordinata all’ adozione di norme di coordinamento e attuative (si pensi alla norma sulla compensazione delle imposte), tutte le norme dello Statuto (e quindi anche i primi articoli) appaiono sicuramente vincolanti, qualunque destinatario abbiano, sia perché operano, in ogni caso, come “principi generali dell’ordinamento tributario” sia per effetto della regola della fissità. Ne consegue che anche le disposizioni contenute nei primi articoli, pur potendo ascriversi nella categoria delle norme sulla normazione, sono deputate a regolare la produzione delle norme tributarie. D’altronde se così non fosse e si dovesse ammettere la possibilità di disattenderle senza alcuna conseguenza, esse si rivelerebbero del tutto inutili, finendo per essere del tutto vanificate[25].
Pur non collocandosi in una posizione più elevata nella gerarchia delle fonti[26], le disposizioni dello Statuto si pongono comunque come “principi generali dell’ordinamento tributario”, in virtù della qualificazione recata nell’art. 1, primo comma, cit., ed in quanto attuazione delle norme costituzionali riguardanti l’imposizione tributaria (principio di legalità , di capacità contributiva, di eguaglianza, di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione)[27]. In mancanza di una legge generale tributaria la valenza di principi generali delle disposizioni dello Statuto ne consente, quindi, l’utilizzazione in funzione integrativa delle lacune dell’ordinamento[28] . Allo stesso tempo, tali norme, esprimendo valori fondanti dell’ordinamento tributario, in quanto strettamente collegati a quelli sanciti dalla Costituzione, sono destinate a orientare, oltre che l’attività interpretativa, la produzione normativa , assicurando così l’unità e la coerenza dell’ordinamento[29].
I soggetti destinatari dello Statuto dei diritti del contribuente
È ormai pacificamente affermato il convincimento che un’intensa opera di semplificazione e razionalizzazione della produzione legislativa – nel rispetto dei princìpi di democraticità e trasparenza – rappresenti uno strumento indiscutibilmente valido per un’efficace sviluppo dell’attività amministrativa ed una reale legittimazione dell’apparato fiscale. ; ma è anche diffusa l’opinione in dottrina che, se occorre facilitare al collaborazione del contribuente e diminuire i costi dell’obbedienza[30], è assolutamente necessario rendere più stabile e più facilmente conoscibile ed accessibile l’ordinamento tributario. E’ appena il caso di ricordare che successivamente alla riforma del 1972, sono intervenuti più di 10.000 provvedimenti normativi di modificazione o integrazione della legislazione esistente[31]
Tale situazione, veramente anomala, unitamente ad una “innata” sfavorevole predisposizione al pagamento delle imposte costituisce un terreno fertile per evasioni ed elusioni, creando inoltre gravissime difficoltà che pregiudicano l’esatta osservanza del precetto legislativo.
Le disposizioni dello statuto rappresentano dunque, nelle intenzioni del legislatore, “una disciplina tributaria scritta per princìpi, stabile nel tempo, affidabile e trasparente, e perciò idonea ad agevolare nella interpretazione, sia il contribuente sia l’amministrazione finanziaria”, secondo quanto emerge dalla relazione della VI Commissione permanente della Camera dei deputati sul disegno di legge n. 4818, approvato dal Senato della Repubblica il 22 aprile 1998
Dall’analisi dei 21 articoli della legge appena citata sono individuabili i princìpi fondamentali (certezza, trasparenza, irretroattività, conoscibilità e semplificazione del linguaggio) cui deve ispirarsi la produzione legislativa e l’attività dell’amministrazione finanziaria (artt. 1-6) e le garanzie specifiche ( dovere di informazione, obbligo di motivazione, tutela patrimoniale, tutela dell’affidamento e della buona fede) riconosciute al contribuente (artt. 7-11), cui fanno seguito, all’art.11, l’introduzione dell’istituto della facoltà di interpello generalizzato su tutte le questioni fiscali, che affianca quello limitato a fattispecie con matrice elusiva, e, all’art.
Alcuni orientamenti della dottrina[32] dividono, lo Statuto in due parti, la prima compresa fra l’articolo 1 e l’articolo 4 che vede come destinatario il legislatore e la seconda che contiene i principi per l’attuazione dell’articolo 97 della Costituzione e rivolta all’Amministrazione finanziaria.
La dottrina prevalente preferisce invece individuare tre distinti nuclei attorno ai quali si sviluppano le disposizioni statutarie in relazione ai destinatari[33].
Un primo gruppo riguarderebbe le disposizioni contenute nei primi quattro articoli, inerenti ai principi fondamentali del sistema normativo tributario cui è vincolato il legislatore, a cui si può accorpare l’articolo 16 avente ad oggetto l’adeguamento dell’ordinamento ai nuovi principi.
Il secondo comprende gli articoli 5, 6, 7 e 14 disciplinanti il comportamento che l’Amministrazione finanziaria deve tenere nei rapporti con il contribuente, in particolare esplicando il dovere d’informazione, quello di trasparenza e correttezza e quello di semplificazione e motivazione dei provvedimenti.
Il terzo nucleo invece predispone la tutela del contribuente sotto il profilo dell’integrità patrimoniale, della buona fede, delle garanzie per il contribuente sottoposto a verifiche fiscali. A queste norme si possono aggregare quelle sull’interpello e sul Garante del contribuente.
Lo Statuto prevede infine alcune norme residuali, concernenti l’estensione delle disposizioni anche ai concessionari ed agli organi indiretti dell’Amministrazione finanziaria (art.17), l’emanazione di un codice di comportamento per il personale addetto alle verifiche fiscali (art.15) ed ovviamente la norma sulle coperture di spesa (art.20) .
Lo Statuto dei diritti del contribuente, approvato con legge 27 luglio 2000, n. 212, rappresenta, nelle intenzioni del legislatore, un vero e proprio codice di comportamento dell’Amministrazione finanziaria: una legge generale che,nel ribadire i principi di logica e certezza giuridica del sistema tributario,disciplina la produzione legislativa in materia fiscale, riduce le aree di discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria e, al tempo stesso, consente al contribuente di orientarsi e di far valere i propri diritti nel procedimento amministrativo di imposizione.
LE DISPOSIZIONI RIVOLTE AL LEGISLATORE
La prima parte dello Statuto dispone le norme che riguardano gli obblighi a cui il legislatore futuro dovrà attenersi nell’emanare disposizioni tributarie[34]. Sembra quindi che il legislatore abbia compreso la propria responsabilità ed abbia deciso di autodisciplinarsi ponendo dei vincoli alla propria azione[35].
I principi generali (articolo 1)
Lo statuto del contribuente si apre con un enunciato normativo tipico della più recente legislazione considerata organica o di principio[36]. Il riferimento è al disposto del comma 1 , dell’art.1, rubricato principi generali[37], che è del seguente tenore : “ le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”
Si tratta degli articoli della Costituzione che riguardano la pari dignità sociale e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, il divieto d’imporre prestazioni personali o patrimoniali al di fuori della legge, il principio della capacità contributiva e quello dell’organizzazione dei pubblici uffici in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. .
Il dato letterale si presta a due possibili interpretazioni[38]: un primo indirizzo riconosce a queste disposizioni la qualità di principi normativi di attuazione costituzionale, ovvero di principi generali, non perché qualificati come tali dal legislatore, bensì in quanto complementari alle norme di rango superiore[39].
La seconda interpretazione, invece, ritiene che l’inciso indicante gli articoli costituzionali sia un enunciato sostanzialmente superfluo, considerato che ogni norma non può che essere emanata in attuazione del dettato costituzionale[40].
Sembra preferibile la prima soluzione considerato che i principi in oggetto, per quanto di rango costituzionale, sono rimasti pressoché inattuati per oltre cinquanta anni, e il loro richiamo in via esplicita conferma una diversa sensibilità del legislatore fiscale. Inoltre proprio il richiamo a questi canoni di rango superiore fa sì che le disposizioni statutarie vengano “qualificate” dallo stesso legislatore norme di “attuazione”, nonché principi generali dell’ordinamento tributario ed assoggettate ad un particolare regime di derogabilità e modificabilità.
Le “auto-qualificazioni” riferite allo Statuto nel suo complesso, con le quali esordisce l’art. 1, comma 1, della legge n. 212: una, relativa alla sua funzione attuativa “degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione” e l’altra, relativa alla portata delle norme in esso contenute, definite “principi generali dell’ordinamento tributario”, costituiscono indubbiamente una dichiarazione espressa dell’intenzione del legislatore di orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario e dunque, sotto questo profilo, costituiscono un importante riferimento per l’interprete del diritto[41] .
Tuttavia, per giurisprudenza costituzionale costante qualsiasi autoqualificazione non può da sola raggiungere il proprio obiettivo. La definizione dello Statuto come legge di attuazione costituzionale potrebbe semmai acquisire autonoma consistenza laddove i principi di garanzia e di tutela in esso enunciati assurgessero a parametri integrativi dei precetti costituzionali richiamati nella sede dell’eventuale giudizio di legittimità di fronte alla Consulta[42], nel quale venga posto in debito rilievo il nesso di interdipendenza tra i precetti costituzionali e le disposizioni dello Statuto in rapporto con la norma dell’ordinamento di cui si vuole far valere l’illegittimità.
Il riferimento ai principi dell’ordinamento tributario permette di attribuire a queste disposizioni una serie di funzioni [43]: in primo luogo quella programmatica rivolta al legislatore, in secondo luogo quella integrativa atta a colmare le lacune dell’ordinamento stesso e da ultimo la funzione di criterio interpretativo, come previsto dal secondo comma dell’articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale [44]. In questa prospettiva è stato osservato che la norma in oggetto svolge il ruolo di reductio ad unitatem della legislazione vigente, individuando i canoni al quale uniformare l’intera legislazione tributaria [45].
Il principio di fissità
Il citato art. 1 dello Statuto contiene due clausole c.d. di salvaguardia, o rafforzative: la prima, volta a vietare deroghe e modifiche alle disposizioni dello Statuto se non espressamente sancite in una diversa norma; la seconda, volta a escludere che tali deroghe o modifiche possano essere attuate mediante il ricorso a leggi speciali[46].
E’ stato accennato alla sempre maggiore frequenza con cui il legislatore utilizza le dette clausole di autorafforzamento ma, anche con riferimento alla clausole appena ricordate, l’autoqualificazione appare essere solo un elemento destinato alla valutazione dell’interprete, posto che, sulla base delle ordinarie regole che presiedono all’interpretazione delle norme, tale precetto non ha di per sé efficacia superiore a quella di qualsiasi atto successivo di emanazione legislativa[47].
Il primo comma dell’articolo 1 dello Statuto afferma che le disposizioni in esso contenute possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali.
Una parte della dottrina sostiene che la disposizione assume valore di “legge rinforzata” indicando, con tale locuzione, una categoria di formazione giurisprudenziale, che viene riferita a tutte quelle norme destinate a restare in vigore fino a quando non intervenga una norma di pari rango che rechi espresse disposizioni abrogative o modificative[48].
In senso conforme è stato osservato che le disposizioni statutarie costituirebbero una “supernorma” espressiva di principi generali in materia tributaria e come tali insuscettibili di essere contraddetti da norme ordinarie di portata non equivalente. Una infrazione di queste norme, di conseguenza, violerebbe il principio di razionalità, espresso dall’articolo 3 della Carta costituzionale, e permetterebbe il sindacato di costituzionalità della norma successiva[49].
In senso contrario è stato osservato che esistono fonti subcostituzionali, che traggono origine dalla stessa Costituzione la quale ne determina tassativamente la portata: lo Statuto, seppur emanato in applicazione della Costituzione, non rientra in questa categoria e quindi non può che avere forza di legge ordinaria[50].
Una volta stabilito che lo Statuto non può che considerarsi legge ordinaria, la scelta del legislatore è fatta oggetto di due ordini di critiche. In primo luogo viene osservato che il legislatore di oggi non può mettersi al di sopra del legislatore di domani: viene poi sottolineato che non è possibile neppure limitarlo, poiché altererebbe la gerarchia delle fonti normative[51]. Questo atteggiamento ha un antecedente storico nella legge 7 gennaio 1929, n. 4 recante norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, che prevedeva il divieto di deroga o modifica di queste norme con provvedimenti concernenti i singoli tributi, in quanto permesso solo per dichiarazione espressa del legislatore.
Una situazione simile era senz’altro ammissibile in un contesto caratterizzato da una costituzione flessibile quale lo Statuto Albertino, ma non in vigenza di una costituzione rigida quale l’odierna.
Infatti, escludendo l’opinione minoritaria di chi facendo riferimento alla XVI disposizione transitoria conferiva la dignità di norme costituzionali anche a precedenti disposizioni di tale rango opportunamente revisionate, dottrina e giurisprudenza maggioritarie hanno espressamente escluso la vigenza di questo principio[52].
La conferma è avvenuta anche dalla Corte costituzionale che ha considerato inammissibile la questione di legittimità del titolo V del D.P.R. n. 600 del 1973 per violazione del principio di fissità “essendo stato assunto come parametro di riferimento un principio non avente rango costituzionale[53]”.
Tuttavia il principio di fissità è stato accettato dal legislatore, infatti, la sua abrogazione è avvenuta mediante abrogazione espressa ad opera della legge 7 agosto 1982, n. 516[54].
In questa prospettiva, alla disposizione in oggetto è attribuito soprattutto un valore programmatico con il quale il legislatore intende mettere al riparo da future modifiche i principi fondamentali del diritto tributario, oppure la valenza di strumento interpretativo da utilizzarsi come chiave di lettura delle altre disposizioni[55].
Il significato da attribuire a tale disposizione è dunque controverso.
Resta in ogni caso certo che il rimedio ad un’eventuale violazione alle disposizioni dello Statuto da parte del legislatore non può essere l’eccezione di costituzionalità, perché il richiamo alle disposizioni costituzionali non basta a qualificare lo Statuto come legge costituzionale[56]. Questa opinione è confermata dalla lettera della norma; infatti, se lo Statuto avesse rango costituzionale le disposizioni non potrebbero essere derogate dal legislatore ordinario neppure con una disposizione espressa, ma solo attraverso il procedimento di cui all’articolo 138 della Costituzione[57].
Resta, tuttavia, da verificare quali siano le conseguenze del principio di fissità. Pur non potendo, in questa sede, affrontare il delicato problema dei vincoli “interni” all’esercizio del potere legislativo[58], deve ritenersi che il mancato rispetto delle clausole della deroga o modificazione espressa e con legge ordinaria, oltre a rilevare sul piano interpretativo [59], dispieghi profonde conseguenze sul piano dell’efficacia degli atti legislativi adottati[60].
In verità, la norma successiva che contravvenga ai divieti posti nello Statuto resta paralizzata nella sua efficacia[61], potendo trovare applicazione solo nella parte in cui sia ad esso conforme[62] .
Sotto un diverso profilo, va avvertito che le norme dello Statuto non sono immutabili in senso assoluto , resta il dato di fatto che lo strumento normativo utilizzato dal legislatore è pur sempre di natura ordinaria, per cui nulla vieta che, in futuro, i contenuti dello Statuto possano essere oggetto di modifiche, integrazioni o abrogazioni per effetto di fonti di fonti di produzione normativa dello stesso livello[63], con l’unico limite rappresentato, come si è visto, dall’inapplicabilità dell’istituto della cosiddetta “abrogazione per incompatibilità” o “abrogazione implicita”[64]. Evidente è, quindi, che non si verifica alcuna compressione del potere del Parlamento[65] di modificare le norme impositive, essendo tale potere assolutamente pieno nel contenuto, ma solo condizionato nelle modalità di esercizio. Allo stesso tempo, il rafforzamento della resistenza passiva delle norme dello Statuto non sovverte il modello gerarchico delle fonti[66], manifestandosi all’interno di esso con riguardo al rapporto tra norme di pari grado quando sono poste regole riguardanti gli effetti abrogativi o derogatori[67].
Chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie (art. 2)
L’articolo 2 dello Statuto intende garantire la semplificazione e la trasparenza delle norme tributarie al fine di renderle intelligibili a tutti i cittadini. La dottrina ritiene che l’espressione “disposizioni tributarie” di cui alla disposizione in esame possa essere intesa in senso estensivo applicandola quindi non solo a leggi ordinarie, ma anche a norme costituzionali, decreti legge e decreti legislativi[68].
Il secondo comma dell’articolo 2 dispone che le leggi e gli atti aventi forza di legge che non hanno un oggetto tributario non possono contenere disposizioni di carattere tributario, fatte salve quelle strettamente inerenti all’oggetto della legge medesima.
Le norme tributarie non possono dunque essere introdotte da disposizioni con contenuto diverso: in particolare non sarà più possibile inserire, come invece avviene nella prassi, disposizioni fiscali nei provvedimenti omnibus. Pertanto, viene eliminata la prassi ormai consolidata dal legislatore fiscale di introdurre disposizioni tributarie in leggi o atti aventi forza di legge di contenuto diverso.
Lo Statuto permette però un eccezione nei casi in cui sia necessario regolare il provvedimento sotto il profilo tributario[69].
Per il terzo comma, i richiami di altre disposizioni contenuti nei provvedimenti normativi in materia tributaria si fanno indicando anche il contenuto sintetico della disposizione alla quale si intende fare rinvio. Viene dunque meno il richiamo criptico a norme precedenti, in quanto è necessario un richiamo sintetico alle norme richiamate.
Per il quarto comma le norme che modificano una disposizione tributaria, devono riportare di seguito il testo modificato, questo tuttavia avveniva, seppur parzialmente, in precedenza[70].
Al riguardo è stato tuttavia osservato che è stato proprio il legislatore statutario il primo a violare questa disposizione: lo Statuto infatti più volte richiama la legge n. 241 del 1990 senza però richiamarne il contenuto[71].
La norma intende quindi incentivare e sostenere tutti i provvedimenti normativi che mirino a realizzare almeno quattro obiettivi: una disciplina tributaria scritta per principi, stabile nel tempo, affidabile e trasparente[72].
CONCLUSIONI
Alla luce delle considerazioni svolte, non si può che osservare che il c.d. “Decreto Milleproroghe” è intervenuto tempestivamente in soccorso di EQUITALIA S.p.A. con un provvedimento assolutamente discutibile, prevedendo una sanatoria indiscriminata delle nullità delle cartelle esattoriali prive dell’indicazione del responsabile del procedimento sino al 1° giugno 2008 (!).
Ebbene, partendo dall’assunto che per la Corte di Cassazione, (sentenze n°4760/2001; n°17576/2002; n°7080/2004), «i criteri generali introdotti dallo Statuto e, attraverso di essi, i valori costituzionali in senso ampio, sono stati interpretati direttamente dallo stesso legislatore», determinanti sono, senz’ altro, le recenti interpretazioni allo Statuto formulate dalla Corte di Cassazione negli ultimi anni che avvalorano le teorie fin qui esposte. Le disposizioni contenute nello statuto vengono ad assume secondo un primo orientamento della Corte di Cassazione (sent Cass. civ., 10 dicembre 2002, n. 17576,) “un preciso valore normativo ed interpretativo sia perché hanno la funzione di dare attuazione alle norme costituzionali richiamate dallo statuto sia perché costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario”. Tuttavia lo stesso giudice di legittimità, rafforzando tale suo convincimento, nella recente sentenza 7080 del 14 aprile 2004, ha sostenuto che i principi espressi nelle disposizioni dello statuto del contribuente o desumibili da esso hanno una rilevanza del tutto particolare nell’ambito della legislazione tributaria ed una sostanziale superiorità rispetto alle altre disposizioni vigenti in materia precisando che i principi dello statuto, poichè costituiscono esplicitazioni generali, nella materia tributaria, di norme costituzionali, debbono ritenersi “immanenti” nell’ordinamento stesso già prima dell’entrata in vigore dello statuto e, quindi, vincolanti l’interprete in forza del fondamentale canone ermeneutico della “interpretazione adeguatrice” a Costituzione: cioè, del dovere dell’interprete di preferire, nel dubbio, il significato e la portata della disposizione interpretata conformi a Costituzione. Pertanto “qualsiasi dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria[73], che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla legge n. 212 del 2000, deve perciò essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi dello statuto del contribuente[74], cui la legislazione tributaria, anche antecedente, deve essere adeguata anche al di là delle modificazioni, relativamente modeste, introdotte nella normativa previgente con il decreto legislativo 26 gennaio
Cosicché, vi sono non poche perplessità in ordine alla legittimità del decreto Mille-Proroghe che derivano da un duplice ordine di considerazioni.
In primo luogo, lo Statuto del Contribuente, pur essendo una legge ordinaria, costituisce espressa attuazione dei principi sanciti dagli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione.
In secondo luogo, vi sono limiti piuttosto ristretti in ordine alla ammissibilità di deroghe e modifiche dei principi dello Statuto del Contribuente che, perciò, gode di un’efficacia ed un peso maggiore rispetto ad una legge ordinaria.
[1] Avvocato del Foro di Napoli – Presidente Associazione NOI CONSUMATORI – Napoli, Piazza Vanvitelli n. 15
[2] Praticante Avvocato del Foro di Napoli, responsabile NOI CONSUMATORI sede distaccata di Nola
[3] La Consulta, nel rammentare che, già fin da epoca precedente l’entrata in vigore della legge n. 212 del 2000 la giurisprudenza costituzionale aveva ritenuto applicabile ai procedimenti tributari la legge generale sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990 (si veda in proposito l’ordinanza n. 117 del 2000), osserva che l’obbligo imposto ai concessionari di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento, lungi dall’essere un inutile adempimento, ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa. Aspetti questi che sono elementi essenziali del principio di buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, sancito dall’art. 97, primo comma, della Carta Costituzionale. [Ord. Cost. n. 377/07 – Presidente Bile – Redattore Cassese]
[4] dalla tesi di laurea in Diritto Finanziario “Lo statuto dei diritti del contribuente – in particolare il diritto di interpello” di Angelo De Lucia, relatore Prof. Raffaele Perrone Capano, Facoltà di Giurisprudenza – Università degli Studi di Napoli “Federico II” – anno accademico 2003/2004
[5] Nell’esperienza legislativa più recente, il ricorso a clausole di immodificabilità o di deroga o abrogazione espressa è sempre più frequente . A mero titolo esemplificativo può ricordarsi la legge n. 142 del 1990 che, oltre ad esprimere i principi generali dell’ordinamento delle autonomie locali, stabilisce che le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe ai principi ivi previsti “se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni”.
[6] Si veda sul punto, M. Logozzo, L’ignoranza della legge trib., cit., pag. 56, il quale si chiede se sia corretto definire lo Statuto come “legge di attuazione costituzionale”. Secondo l’Autore “non pare che l’attuazione di cui trattasi, pur con il richiamo agli artt. 3, 23, 53 e 97, Cost, rifletta un vincolo costituzionale espresso o comunque un dato costituzionale di immediata evidenza ; tuttavia, non si può negare che il solenne richiamo ai principi costituzionale orienta in senso garantistico l’applicazione delle norme tributarie”.
[7] Osserva, in proposito, G. Tinelli, I principi generali in Atti del convegno di Perugia del 10 marzo
[8] Si veda, in proposito, L. Malagù, Lo Statuto del contribuente ed il suo Garante, in Boll.trib., 2000, pag. 17, e ss., spec. pag. 1204, secondo cui la violazione da parte del legislatore ordinario delle disposizioni dello Statuto non consente di ricorrere al procedimento tipico per l’abrogazione delle leggi incostituzionali. Da ciò si deduce “la mera programmaticità delle nuove statuizioni generali in base alle quali dovrà organizzarsi il futuro assetto della legislazione tributaria”.
[9] D’Ayala Valva – Il principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente. Il ruolo dello Statuto, in Riv. dir. trib. 2001, I, pag. 915 – Il legislatore della riforma contrariamente a quanto sostenuto negli anni quaranta da Ezio Vanoni, come già avvenuto per l’emanazione dello Statuto dei lavoratori, ha preferito seguire l’insegnamento di Vezio Crisafulli, il quale riteneva che la Costituzione fosse la base per emanare “carte settoriali” che stabilissero i diritti del cittadino nei diversi settori dell’ordinamento.
[10] Cfr. G. Marongiu, Statuto del contribuente: primo consuntivo ad un anno dall’entrata in vigore, in Corr.trib., 2001, pag. 2069, secondo cui delle norme dello Statuto possono avere dignità costituzionale “ solo quelle contenute negli artt. 1, 3 e 4 (neppure quelle dell’art. 2)”. Secondo l’Autore , due sarebbero state le strade possibili , entrambe rovinose: “ rinunciare a tutte le norme successive all’art. 4 o scrivere due Statuti, uno con dignità di legge costituzionale e uno, minore, approvato con legge ordinaria”. Si veda, inoltre, M.V. Serranò, L’attività di indirizzo in diritto tributario, Messina, 2001, pag. 170, secondo cui l’ambizioso progetto di dare attuazione attraverso lo Statuto ai principi costituzionali “mal si concilia con la forma giuridica prescelta dal legislatore (e cioè la legge ordinaria)” , richiedendo invece “una legge di rango superiore e segnatamente una legge costituzionale”. Ciò non avrebbe consentito facile deroghe, sia pure espresse, e avrebbe tutelato più seriamente il contribuente”.
[11] si veda, ad esempio, l’art. 78 della Costituzione greca secondo cui nessuna imposta, né qualunque onere economico può essere stabilito da una legge ad effetto retroattivo che si estenda al di là dell’anno fiscale precedente.
[12] Tale soluzione è auspicata da L. Antonini., Intorno alle “metanorme” dello Statuto dei diritti del contribuente, rimpiangendo Vanoni, in Riv. Dir. Trib., 2001, I, 639, secondo cui la soluzione della legge rinforzata “potrebbe ridare vigore al tentativo di riportare nell’alveo della Costituzione l’ordinamento tributario italiano, garantendo quella stabilità che è necessaria per permettere alla giurisprudenza e alla dottrina lo sforzo di costruire una nuova razionalità impositiva”. L’Autore denuncia comunque la contraddittorietà dell’operato del legislatore che mentre ha percorso la strada della revisione costituzionale per l’adozione dello Statuto dell’imputato, non ha fatto altrettanto per quello del contribuente. Sostiene che le norme dello Statuto abbiano “un rango superiore a quelle ordinarie” M.Leo, I vincoli del legislatore risultanti dallo Statuto del contribuente in in Atti del convegno di Perugia del 10 marzo
[13] V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1984, pag. 201; T. Martines, Diritto costituzionale, (IX edizione), Milano, 1998, pag. 117, secondo cui , nel nostro ordinamento costituzionale, esistono “fonti di pari forza delle legge formale emanate da organi diversi dal Parlamento o il cui procedimento di formazione è più complesso (aggravato) rispetto a quello ordinario: fonti la cui forza attiva o passiva è depotenziata o, al contrario, potenziata ed, ancora, fonti per la cui formazione sono prescritti alcuni adempimenti, da ritenere però esterni al procedimento di formazione in senso stretto”.
[14] Così F. Tesauro, Compendio di diritto tributario, Torino, 2002, pag. 20 , secondo cui “vi sono nello Statuto del contribuente disposizioni di legge rinforzate in quanto non possono essere derogate o modificate in modo tacito
[15] Ovviamente, non può escludersi che una norma che rechi deroghe o modificazioni allo Statuto non consentite dall’art. 1 legge 212 sia comunque illegittima costituzionalmente per violazione delle disposizioni costituzionali richiamate dallo Statuto o di altre norme costituzionali. Si pensi al caso di una norma impositiva a carattere retroattivo vietata dall’art. 3 primo coma della legge 212 che comunque dia luogo a lesione del principio di capacità contributiva Si veda sul punto, P. Russo, Manuale di diritto tributario, cit., pag. 63, secondo cui “la legge posteriore che deroga alla disciplina posta dallo statuto non è priva di effetti, ma si presta ad essere censurata dal punto di vista della sua conformità ai precetti costituzionali richiamati dal primo comma del citato art.1”
[16] così Malagù in Bollettino Tributario n.17/2000
[17] Secondo G. Tinelli, I principi generali , pag. 9, occorre distinguere tre destinatari in senso lato delle norme dello Statuto; il legislatore, l’interprete e l’Amministrazione. Secondo l’Autore le norme che si rivolgono al legislatore esprimono direttive cogenti sotto alcuni aspetti, non cogenti secondo altri; le norme che si dirigono all’interprete hanno una funzione ricostruttiva della portata delle disposizioni già presenti nell’ambito dell’ordinamento; quelle dirette all’Amministrazione “hanno una funzione di individuazione di situazione doverose e correlativamente di posizioni giuridicamente tutelate, collegate al modo di esercizio dell’attività della Pubblica Amministrazione.
[18] Su tale disposizioni, altrimenti dette “metanorme” cfr., ampiamente, L. Antonini , Intorno alle “metanorme” dello Statuto, pag. 619.
[19] Per G. Malagù Lo Statuto del contribuente, cit. le norme rivolte al legislatore costituirebbero più che altro “norme di indirizzo”, la cui attuazione è rimessa alla sensibilità degli organi preposti all’esercizio della funzione legislativa, quelle destinate all’Amministrazione finanziaria, agli Enti locali e al contribuente avrebbero carattere vincolante, generando obblighi, poteri, diritti e facoltà . Mentre le prime potrebbero operare come mere direttive rispetto alla normazione ordinaria futura, prevalendo i principi della successione delle leggi nel tempo, della gerarchia e della competenza, le seconde avrebbero carattere precettivo, recando prescrizioni compiute , suscettibili di trovare piena e immediata applicazione.
[20] in questo senso si veda, G. Marongiu, Statuto del contribuente, cit., pag.
[21] Scalinci – Verso una “nuova” codificazione: uno Statuto di principi tra ricognizione, determinazione e clausole in apibicus, in Rass. trib. 2003 pag. 619
[22]Glendi – Commento dello Statuto del contribuente, in Corr. trib. 2000 pag. 2415
[23] Falcone – Il valore dello Statuto del contribuente, in il fisco 2000 pag. 11041
[24] Buccico – Lo Statuto del contribuente, principi e lacune, in il fisco 2001 pag. 7005
[25] Riconosce la giuridicità delle norme sulla normazione (o regole su regole) F. Modugno, Appunti per una teoria generale del diritto. La teoria del diritto oggettivo, Torino, 1997, pag. 45, secondo cui le norme sulla normazione sono “condizionanti” in quanto “condizionano le stesse norme costitutive del diritto oggettivo”
[26] Nell’affrontare il problema del rapporto tra le disposizioni dello Statuto e le fonti del diritto tributario, C. Glendi, Commento alla legge 212/2000, in Corr.trib. 2000, pag. 2416, dopo aver sottolineato il riferimento ritenuto “apparentemente anomalo” agli artt. 3, 23, 53, e 97 della Costituzione, ritiene che “potrebbe ravvisarsi nelle disposizioni che lo compongono una sorta di supernorma dichiaratamente espressiva di principi generali in materia tributaria come tali insuscettibili di essere contraddetti da norme ordinarie di non equivalente portata senza il rischio di violazione del principio di razionalità consacrato nell’art. 3 della Costituzione e, sotto questo profilo, dunque, suscettibili di essere costituzionalmente sindacate”. In senso contrario, D. Irollo, In tema di ‘fissità’ dello Statuto, cit., il quale ritiene derogabile o modificabile lo Statuto da parte di qualunque norma ordinaria, anche speciale o eccezionale in considerazione del principio gerarchico e di quello della successione delle leggi nel tempo.
[27] Lamenta il mancato riferimento da parte dell’art. 1 dello Statuto, all’art. 24 della Costituzione, nella parte in cui riconosce il diritto di difesa in ogni stato e grado del giudizio, L. Malagù, Lo Statuto del contribuente, cit., pag. 1207 il quale ricorda , invece, lo spazio che tale diritto riceve nella carta dei diritti del contribuenti francese
[28] Particolare rilevanza assume la recente pronuncia della Corte di Cassazione, Sezione tributaria, n. 17576 del 12 febbraio 2002, depositata il 10 dicembre
[29] Con riferimento al valore dello Statuto dei diritti del contribuente, G. Falcone, Il valore dello statuto del contribuente, in Il fisco, 2000, pag. 11038, seg., spec., pag. 11042, secondo cui “occorre tenere presente che le norme dello Statuto sono state emanate in attuazione di norme costituzionali, sicché hanno un rilievo, un peso, uno spessore che non può non essere maggiore rispetto a quello di una legge ordinaria. E ciò non può non essere tenuto presente da un futuro legislatore, che deve ormai accettare l’idea della necessaria attuazione delle norme costituzionali richiamate dallo Statuto, per cui potrebbe modificare qualcosa, ma non potrebbe tornare indietro ed abrogare questa legge”.
[30] La portata innovativa dello Statuto potrebbe essere sinteticamente riepilogata da quanto dettato dall’art. 10 (“… I rapporti tra contribuente ed Amministrazione Finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede.”), ove è chiara la volontà di riavvicinare lo Stato-esattore alla sfera del cittadinocontribuente, con doverosa attenzione ai principi di parità ed uguaglianza, imposizione patrimoniale in base alla legge, capacità contributiva, buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione.
[31] Buccico – Lo Statuto del contribuente, principi e lacune, in il fisco 2001 pag. 7005 Ogni anno ne vengono emanati molte centinaia, che profondamente incidono sulla materia, ma spesso non sembrano sufficientemente coordinati: è persino accaduto che la nuova normativa sia intervenuta durante la vacatio del precedente provvedimento, ossia prima della sua stessa entrata in vigore, ed è avvenuto altresì che un decreto legge sia stato modificato, prima della conversione, da altro analogo provvedimento
[32] D’Ayala Valva – I nuovo volto del fisco, in Nuovi studi politici 2003 pag. 43.
[33] Per tutti si veda Glendi, Commento dello Statuto del contribuente, in Corr. trib. 2000 pag. 2415.
[34] In questo senso Raffaele Perrone Capano per il quale La legge 212/2000 individua principi generali dell’ordinamento tributario a cui deve uniformarsi innanzitutto il legislatore statale nei limiti delle fonte pari-ordinate
[35] D’Ayala Valva – Il nuovo volto del fisco, in nuovi studi politici 2003 pag. 48 – ha però considerato il valore di queste disposizioni meramente politico non essendo prevista alcuna sanzione alle future inadempienze.
[36] Nell’ambito della legislazione ordinaria ,statale e regionale, si rinvengono numerosi provvedimenti che espressamente qualificano talune disposizioni in essi contenuti, quali “principi generali” ; a titolo semplificativo si ricordano lo Statuto dei lavoratori (L. n.300/1970) nonché le leggi sul procedimento amministrativo (L. n.241/1990) e sulle autonomie locali (L. n.142/1990)
[37] Dal punto di vista etimologico , “principio” viene normalmente utilizzato come sinonimo di “valore fondamentale , ovvero di “nozione di base”; nel linguaggio giuridico il termine viene spesso riferito al concetto di “ordinamento” . In dottrina per principi si indicano enunciati ampi, che concorrono alla soluzione di problemi ed orientano i comportamenti secondo un procedimento che riduce ad unità le fattispecie concrete, ovvero regole generali ed astratte ottenute dall’elaborazione di regole specifiche e circostanziate valide in un determinato momento storico ed applicabili a concrete fattispecie. In giurisprudenza la Corte Costituzionale (sentenza n. 6 del 1956), ha definito “principi generali” quali direttive di carattere fondamentale che si possono desumere dalla connessione sistematica, dal coordinamento ed dall’intima razionalità delle norme che concorrono a formare , in un dato momento storico, il substrato dell’ordinamento giuridico.
[38] Scalinci – Verso una “nuova” codificazione: uno Statuto di principi tra ricognizione, determinazione e clausole in apibicus, in Rass. trib. 2003 pag. 619
[39] La Cassazione sentenza n.17576/2002 ha avuto modo di evidenziare che “la qualificazione delle disposizioni come “principi generali dell’ordinamento tributario” trova puntuale rispondenza nella effettiva natura delle disposizioni stesse, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme della legislazione e dell’ordinamento tributario”.
[40] Aiello – Lo Statuto dei diritti del contribuente, in Boll. trib. 2000 pag.1128
[41] In questo senso l’orientamento giurisprudenziale della corte di Cassazione che ha recentemente attribuito “un preciso valore normativo” alle “clausole rafforzative” di autoqualificazione delle disposizioni statutarie, attuative di norme costituzionali e costituenti principi generali dell’ordinamento tributario. (così Cass. sez. trib., 12 febbraio 2002, n.
[42] Così PINELLI, Sulle clausole rafforzative dell’efficacia delle disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente, in Lo statuto dei diritti del contribuente, Atti del Convegno, Jesi 6 marzo 2001.
[43] Carbone, Screpanti – Lo Statuto dei diritti del contribuente, Eti-il fisco, Roma 2000 pag.35
[44] Il secondo comma dell’art.12 delle preleggi recita: “Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”.
[45] Scalinci – Verso una “nuova” codificazione: uno Statuto di principi tra ricognizione, determinazione e clausole in apibicus, in Rass. trib. 2003 pag. 619
[46] Appare utile ricordare che già l’art. 1, comma 2, della legge 7 gennaio 1929, n. 4, recante “Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie” successivamente abrogato dal D.L. n. 429 del 1942 convertito in legge n. 516 dei 1982, prevedeva che “le disposizioni della presente legge […] non possono essere abrogate o modificate da leggi posteriori concernenti singoli tributi, se non per dichiarazione espressa del legislatore con specifico riferimento alle singole disposizioni abrogate o modificate”.
[47] Si rinvia sul punto alle considerazioni, ancora oggi valide, svolte da CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, Padova, ed. 1984,
[48] In questo senso Carbone-Screpanti: “Le leggi rinforzate si pongono pertanto, nell’ambito della gerarchia delle fonti, in una posizione intermedia fra le norme di rango costituzionale e le altre fonti di rango primario: in altri termini, le norme connotate da questo particolare carattere sono da considerarsi superiori, e pertanto immodificabili, rispetto a tutti i provvedimenti cui il legislatore non abbia attribuito questo carattere di fissità”.
[49] Glendi – Commento dello Statuto del contribuente, in Corr. trib. 2000 pag. 2416
[50] Malagù – Lo Statuto dei diritti del contribuente ed il suo garante, in Boll. trib. 2000 pag. 1203
[51] Raffaele Perrone Capano conviene con la dottrina maggioritaria sulla qualificazione di legge ordinaria attribuita allo Statuto del contribuente e le cui disposizioni sono, pertanto, derogabili da altra legge; ma aggiunge che la legge 212/2000 cd Statuto del contribuente è anche generale: dalle norme premesse al codice civile, la legge generale non può che essere modificata da altra legge di tipo generale ed in modo espresso e questo richiama nell’ambito della gerarchia delle fonti la maggiore solidità e stabilità della legge generale rispetto alla legge speciale. Non può essere quindi modificata da legge speciali non può essere soprattutto da norme contrastanti adottate dal legislatore successivamente a meno che queste norme non esplicitino la deroga alle disposizioni di principio.
[52] Si noti che quest’interpretazione se potrebbe accogliere il principio inserito nella legge n. 4 del 1929, non sarebbe applicabile allo Statuto poiché legge successiva alla Costituzione, infatti la XVI disposizione transitoria dispone “entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione e al coordinamento con essa delle precedenti leggi costituzionali che non siano state finora esplicitamente o implicitamente abrogate” conseguentemente non essendo stata abrogata la legge n. 4 del 1929 potrebbe avere rango costituzionale, ma non lo Statuto in quanto l’emanazione di norme di rango costituzionale successiva all’entrata in vigore della carta costituzionale è disciplinata dalla Costituzione stessa.
[53] C.Cost. 18 luglio 1989 n.
[54] Corso – Il ritorno del principio di fissità nello Statuto del contribuente, in Corr. trib. 2000 pag. 2790
[55] Corso – Il ritorno del principio di fissità nello Statuto del contribuente, in Corr. trib. 2000 pag. 2790
[56] Malagù – Lo Statuto dei diritti del contribuente ed il suo garante, in Boll. trib. 2000 pag. 1204
[57] Irollo – In tema di “fissità” dello Statuto del contribuente alla luce del sistema costituzionale delle fonti del diritto e del valore dei principi generali dell’ordinamento, in Giur. it. 2001, VI, pag. 1552
[58] Sulla tema dei “vincoli interni” all’esercizio del potere legislativo, cfr. P. Carnevale, Il caso delle leggi contenenti clausole di “sola abrogazione espressa” nella più recente prassi legislativa. Per un tentativo di rimeditazione organica anche alla luce della problematica degli autovincoli legislativi, in Trasformazioni della funzione legislativa (a cura di F. Modugno), Milano, 1999, I, pag. 3, seg., A. Pace, Potere costituente, rigidità costituzionale e autovincoli legislativi, Padova, 1997, pag. 153, seg.
[59] Così Corte Costituzionale sent. n. 111 del 1997, secondo cui la violazione del vincolo posto dalla legge n. 142 del
[60] Così P. Carnevale, Il caso delle leggi contenenti clausole di “sola abrogazione espressa”, cit. pag. 87, il quale, evidenziata l’attitudine invalidante della violazione della norma sulla normazione, sottolinea che, nel caso di violazione della clausola della abrogazione espressa, “non si verte in ipotesi di violazione di una meta-norma riguardante il procedimento, i presupposti, la competenza, ecc. cioè a dire una regola sul venire in essere dell’atto normativo, bensì una norma sulla normazione direttamente riguardante l’efficacia nel tempo della legge, nella relazione con le altre leggi, vale a dire una regola sull’applicazione delle norme.
[61] In verità , al fine di prevenire l’adozione di norme in contrasto con le disposizioni dello Statuto avrebbe potuto essere inserita nello Statuto una disposizione analoga all’art. 92 del progetto di Costituzione che sanciva “l’improcedibilità dei disegni di legge che intervengono nella materie già codificate senza provvedere, in modo espresso, alla modifica o integrazione dei relativi testi”
Giudica positivamente una disposizione di tale portata M. Ainis, La codificazione del diritto oggettivo. Problemi e prospettive in Giur.it., 1998, pag. 2462.
[62] Richiamando il pensiero espresso da V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale. L’ordinamento costituzionale italiano. Le fonti normative, vol. II, Padova, 1993 (VI ediz. aggiornata da F. Crisafulli), si può ritenere che la legge ordinaria può liberamente modificare le regole riguardanti la produzione delle norme, “ma nessuna legge può trasgredirle in un singolo caso, poiché altro è mutare il diritto vigente nelle forme da questo prescritte, altro è non ottemperare a quanto esso prevede”
[63] Sulla deroga alle disposizioni dello Statuto, R.Perrone Capano è dell’opinione che il derogare ai principi generali rappresenta comunque all’interno di un sistema democratico un costo in termini politici per il governo tenuto ad osservarli e, pertanto, a meno che la deroga a detti principi generali non risponda o ad interessi più alti o comunque a contingenze rispetto alle quali il legislatore-governo ritiene, attraverso il bilanciamento degli interessi in conflitto di doversene assumere la responsabilità nei confronti della collettività, – essa si giustifica solo in casi del tutto eccezionali.
[64] L’abrogazione per incompatibilità è una delle due tipologie di abrogazione “tacita” contemplate, in aggiunta, a quella espressa, dall’art. 15 delle disposizioni preliminari al codice civile, a norma del quale “ Le leggi non sono abrogate che da le leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola intera materia già regolata dalla legge anteriore”.
[65] si veda al riguardo, P. Corso, Il ritorno del “principio di fissità” nello Statuto del contribuente, in Corr.trib., 2000, pag. 2789, secondo cui “la norma presta il fianco a due tipi di critiche: primo, il legislatore di oggi non può mettersi al di sopra del legislatore di domani; secondo, il legislatore di oggi non può restringere i poteri di autodeterminazione del legislatore di domani perché , ove ciò potesse fare, verrebbe ad alterarsi la gerarchia delle fonti normative perché alla parità tra loro delle leggi ordinarie (art. 1, cc.) si sostituirebbe il criterio di un diverso valore e ciò determinerebbe, conseguenzialmente, il crearsi di una gerarchia tra le leggi ordinarie o, in un’altra prospettiva il delinearsi di una categoria di leggi di valore subcostituzionale ma superiore alla legge ordinaria, ci quanto meno dubbia collocazione nel quadro costituzionale”
[66] Così D. Irollo, In tema di ‘fissità’ dello Statuto del contribuente alla luce del sistema costituzionale delle fonti del diritto e del valore dei principi generali dell’ordinamento , in Giur.it., 2001, il quale, muovendo dalla premessa che l’art. 1 , primo comma , eleva lo Statuto a “fonte intermedia, distinta e sovraordinata rispetto a quella primaria, conclude per l’inoperatività, se non per la incostituzionalità del divieto per le norme posteriori a modificare o derogare alle disposizioni dello Statuto, poiché “accrescendo la forza passiva della legge che contiene detta clausola, apporta un modifica inammissibile al sistema delle fonti costituzionalmente sancito, essendo inoltre in permanente contrasto con l’art. 1 della Costituzione nella parte in cui detta il principio della permanente sovranità popolare e con il successivo art. 70 che attribuisce al Parlamento l’esercizio pieno e incomprimibile della funzione legislativa”.
[67] In verità , a soluzioni non diverse da quelle che qui si sostengono, era già giunto F. Moschetti Validità ed efficacia del “principio di fissità, cit., pag. 87, sia pure con riguardo alla legge n. 4 del 1929. Secondo l’Autore, “la clausola di abrogazione espressa, di cui all’art. 1, capoverso, legge 7 gennaio 1929, n. 4, non pone la legge ordinaria a un livello gerarchico superiore a quello del tipo cui essa appartiene e non individua alcun caso di fonte atipica; b) è legittima anche in regime di costituzione rigida poiché non viola la gerarchia delle fonti, né i principi fondamentali della costituzione ; c) ha una propria efficacia nei confronti della legge futura, comportando il divieto di applicare la norma speciale che abbia innovato tacitamente i principi generali sulle violazioni finanziarie; d) si applica peraltro alle sole innovazioni tacite contenute in leggi concernenti i singoli tributi dello Stato.”
[68] Carbone, Screpanti op. cit.,pag. 52
[69] Carlomagno op. cit., pag. 24
[70] Salvatores – Disatteso lo Statuto del contribuente, in Boll. trib. 2003 pag. 85
[71] Morina op. cit., pag. 4
[72] De Mita – Il diritto tributario alla ricerca dei principi, in il sole 24-ore del 20 aprile 2003
[73] Il valore “ermeneutico” dei principi statutari, come già sottolineato dalla Corte (Cass. civ., n. 17576/2002), si fonda su due rilievi: “quello, secondo cui l’interpretazione conforme a statuto si risolve, in definitiva, nell’interpretazione conforme alle norme costituzionali richiamate, che lo statuto stesso dichiara esplicitamente di attuare nell’ordinamento tributario”, e, l’altro, diretta conseguenza del primo, “secondo cui (alcuni dei principi posti dalla legge n. 212 del 2000 – proprio in quanto esplicitazioni generali, nella materia tributaria, delle richiamate norme costituzionali – debbono ritenersi “immanenti” nell’ordinamento stesso già prima dell’entrata in vigore dello statuto e, quindi, vincolanti l’interprete in forza del fondamentale canone ermeneutico della “interpretazione adeguatrice” a Costituzione: cioè, del dovere dell’interprete di preferire, nel dubbio, il significato e la portata della disposizione interpretata conformi a Costituzione.”
[74] In questo senso R. Perrone Capano il quale sostiene che le disposizioni dello statuto sono principi generali dell’ordinamento tributario cui il legislatore si deve conformare e nel momento in cui adotta una disposizione fiscale interpretativa a carattere retroattivo, il legislatore non è neanche qui libero di scegliere, ma deve scegliere quella più conforme allo statuto.
Pensionato Vivissime Congratulazioni per l’ottimo lavoro ! ! Trattasi di recidiva. Mi piace riportare le mie osservazioni alla finanziaria per il 2007. dalla FINANZIARIA 2007 Legge n. 296 del 2006 Articolo 1 Comma 169. Gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. Dette delibe-razioni, anche se approvate successivamente all’inizio dell’esercizio purché entro il termine innan-zi indicato, hanno effetto dal 1º gennaio dell’anno di riferimento. In caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno. Comma 171. Le norme di cui ai commi da 161 a 170, si applicano anche ai rapporti di imposta pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Osservazioni Sia il comma 169 che il comma 171 non sono in sintonia con l’articolo 3 della legge 212/2000, ossia lo Statuto dei diritti del Contribuente; infatti, tanto l’uno quanto l’altro attribuiscono efficacia retro-attiva ad una norma tributaria. Praticamente, il comma 169 dispone per il futuro ( e cioè a decorrere dal 1° gennaio 2007 ) l’efficacia retroattiva alla norma, che nel caso di specie corrisponde alla delibera della giunta ap-provata successivamente all’inizio dell’esercizio; mentre il comma 171 sana tutte le analoghe pre-gresse situazioni, collegate alla violazione della legge, magari già oggetto di contenzioso tributario. Rimedio proposto Considerato che attualmente il Parlamento è interessato alla conversione del decreto legge n. 299, del 2006, avente per oggetto l’abrogazione del comma 1343, non sarebbe opportuno associare al predetto i commi 169 e 171, costituzionalmente censurabili ? Ad ogni buon fine, trascrivo di seguito il testo del più volte citato articolo 3 della legge 212/2000: "" Legge 212 del 2000 Articolo 3 Efficacia temporale delle norme tributarie. 1. Salvo quanto previsto dall’art. 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroat-tivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le preve-dono. 2. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contri-buenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti. 3. I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere pro-rogati.“” . Torre Annunziata, 27 gennaio 2007 Vincenzo Pisapia
disoccupato
Fisco ladro Sono un pensionato da mille € al mese. Ancora una volta vengo tartassato perchè risulterebbe che mia moglie ha percepito un reddito mai contestato all’interessata : ho messo a carico mia moglie perchè il suo reddito è inferiore 2.800,00 €. ora devo pagare oltre 900,00 €. Congratulazione per quanto fate noi contribuenti. Sono me, tutto è stato orchestrato per formare il tesoretto da DIVIDERE con i compagni. Salutissimi